Si apre il sipario, si accendono le luci e lo spettatore è immerso in una sala teatrale. Sul palco quattro attori e un capocomico stanno per iniziare le prove di uno spettacolo (probabilmente mai andato in scena). Al centro del palco un macchinista sta riparando le luci. L’umorismo s’intravede dalla prima scena: gli attori rimangono al buio e non possono provare. L’ironia del quotidiano che separa la messa in scena dal testo pirandelliano è intuibile già dopo pochi minuti di spettacolo. “Sei”, è una riscrittura di Spiro Scimone del celeberrimo “Sei personaggi in cerca d’autore”. Come annunciato dal titolo, il testo pirandelliano è stato asciugato. I monologhi sono, infatti, più brevi e meno “didattici”, i drappeggi sono sostituiti dall’essenzialità di gesti e movimenti. Gianfranco Capitta, su “Il Manifesto:
Scimone compie il lavoro proprio sulla parola, riscrivendo in grande fedeltà il testo originario, ma denunciandone apertamente quelle che oggi sarebbero inutili forzature e lavorando piuttosto sulla propria esperienza di autore.
L’operazione di Scimone vuole fondere la moderna quotidianità siciliana con l’immortalità fuori dal tempo del dramma. I personaggi infatti, sono estremamente concreti. La particolare interpretazione della Compagnia Scimone Sframeli illumina di luce nuova le due schiere di protagonisti. Attori e personaggi occupano una posizione paritaria all’interno della scena. Tutti cooperano per una simmetria perfetta. Anche le dinamiche interne acquistano sfumature inedite. Il rapporto Padre Figliastra ha un polo energetico ribaltato. Nonostante il Padre sia il capocomico, la Figliastra sembra sovrastarlo con la sua energia tragica. L’uomo sembra, inoltre, debole. La sua eterna colpa lascia spazio a una tenerezza non indifferente.
La semplicità e la coordinazione dei gesti della compagnia di attori allude alla marionetta. Le azioni meccaniche e le reazioni non istintive (soprattutto in prova) trasmettono l’idea di una libertà attorale negata da parte del regista. Gli attori non si evolvono durante il dramma e non hanno uno psicologismo profondo. La critica al teatro e soprattutto, al modo di fare teatro, diventa subito evidente. Gli attori sono abituati a una recitazione vecchia e non autentica, non vera (come sottolinea il Padre). Solo l’entrata in scena dei personaggi permette loro di scontrarsi con tutti i fantasmi a cui cercano di dare corpo. Durante la messa in scena della storia dei personaggi la critica prosegue. L’impossibilità della produzione autentica di una scena teatrale è rappresentata dall’utilizzo di vecchi e desueti metodi recitativi, caratterizzati da un’alta spettacolarità, ma una bassissima credibilità.
La messa in scena di Scimone indaga molto il concetto di ritmo. A tratti è percepibile un andamento cantilenante e spesso le battute rimangono sospese. Non ricevono risposta immediata, ma galleggiano nel vuoto cosmico per una pausa, anche lunga. I movimenti e i gesti sono molto schematici. I personaggi, invece, si muovono come pedine del gioco di dama, non incontrano gli sguardi e non possono stare vicini.
La ricerca sembra condurre verso l’astrazione. Tuttavia la concretezza della messa in scena riconduce immediatamente alla realtà dei fatti. Riscrivere i “Sei personaggi” oggi, significa adattare un grande classico alla quotidianità di una qualunque compagnia di una qualunque città o paese. Fondere la comicità con l’umorismo pirandelliano non significa corrompere il testo, ma farlo vivere, farlo parlare ancora.