I luoghi delle utopie realizzate

Vi sono luoghi sulla terra dove il desiderio di vivere con gli altri una vita migliore, anche se spesso in una dimensione ridotta, ha potuto realizzarsi all’interno di sistemi sociali imperanti e talvolta repressivi. Si tratta di esperienze utopiche di piccoli gruppi di persone accomunate dallo stesso bisogno di poter dare forma alle idee e alle speranze di un’alternativa possibile. Questi laboratori di utopia realizzata, spesso guidati da menti illuminate, provengono da un secolo, il Novecento, in cui il declino e la scomparsa dei grandi ideali utopistici si è sommato al proliferare delle grandi distopie negative sul destino dell’umanità. Queste oasi di utopia hanno resistito e comunque cercato di costruire con coraggio i fondamenti della propria visione.

Luoghi dell’utopia dell’educazione: L’università di Shantiniketan e la scuola Paideia

Shantiniketan

Si tratta di un esperimento educativo nato dalla volontà del famoso poeta bengalese Rabindranath Tagore detto Rabi Babu, Premio Nobel per la letteratura nel 1913. Convinto della necessità di contribuire al progetto scolastico indiano, in un paese ancora dominato dal colonialismo inglese, fonda nel 1901 a Bolpur in India, la piccola scuola Shantiniketan (che significa luogo di pace), che si trasformerà nel 1920 in una università riconosciuta.

Rabindranath Tagore

L’ambizione di Tagore si ispira a un progetto spirituale e di ripresa delle antiche tradizioni degli ashram come scuola dell’antica India. Una visione di oasi intellettuale, culturale e naturalistica che si amplia anche nella ricostruzione di una cultura rurale e di sviluppo agricolo, facendo uso delle antiche tecniche indiane. I principi cardini dell’utopia di Tagore si basano sulla convivenza senza distinzione di sesso, casta, e di diverse credenze religiose, in un’oasi di tolleranza e pace incastonata in un Paese di profondi conflitti etnici e religiosi. In questo luogo, i ricchi e i poveri, i bramini e gli intoccabili e le persone di ogni provenienza possono comunemente accedere agli svariati percorsi scolastici e culturali senza mai abbandonare l’aspetto spirituale e il rapporto con la natura da parte dei discenti.

Ancora oggi questo luogo rappresenta un centro di cultura umanistica mondiale secondo i principi di Tagore per favorire la conoscenza e l’integrazione delle culture orientali e occidentali. Gli studenti di ogni parte del mondo partecipano senza imposizioni autoritarie e sono indirizzati allo sviluppo delle loro esigenze e inclinazioni personali. L’educazione diventa quindi un veicolo di liberazione dai pregiudizi necessari al dialogo interculturale e allo sviluppo dell’individuo che sia in armonia con sé stesso e gli altri.

Paideia

La scuola anarchica per bambini e ragazzi Paideia a Merida in Spagna è uno straordinario laboratorio di cittadinanza radicale. Nata nel 1978 si ispirava a ”L’Escuela Moderna” di Barcellona fondata nel 1901 dal pedagogista libertario Francisco Ferrer y Guardia. La pedagogia libertaria si poneva l’obiettivo di sottrarre i bambini al meccanismo autoritario dell’istruzione pubblica attraverso l’utilizzo di modelli educativi e pedagogici non repressivi.

Nella scuola di Merida convivono attualmente circa 60 bambini e ragazzi tra i 2 e 16 anni d’età, insieme agli educatori, collaboratori e osservatori. Sono gli alunni che però gestiscono e organizzano il tempo della scuola in una forma di autogestione e di collaborazione con gli insegnanti, in modo assembleare e attraverso commissioni composte da ragazzi di diversa età. La scuola, inoltre, cerca di incentivare la cooperazione e la critica alla società in una prospettiva anarchica e tramite la guida di alcuni principi fondamentale quali la negazione dell’autorità, il rifiuto della violenza, l’esclusione della competitività e del consumismo.

A Paideia i ragazzi sono i veri protagonisti della scuola, sia come studenti sia come attivi contributori del suo funzionamento attraverso i gruppi di lavoro. In aggiunta alle assemblee, che gestiscono i gruppi di studio quotidiano, vi sono i gruppi che si occupano della cucina e delle pulizie e quello degli osservatori che ne controllano la gestione. Tutte le attività sono organizzate attraverso una rotazione dei ruoli e degli impegni collaterali allo studio. Determinanti sono anche i “comitati di valori” che studiano e valutano che quello che viene imparato non sia a livello astratto o di soli fatti, dati e cifre, ma che sia un’educazione basata su una relazione di profondi valori umani come la giustizia, la solidarietà, la libertà e la non violenza, nella percezione che la cultura sia sinonimo di felicità.

Purtroppo la scuola che occupa una vecchia fattoria a due piani e fino a poco tempo fa immersa nel verde, si trova oggi al centro di una speculazione edilizia urbana che vedrà circondare l’edificio di costruzioni suburbane togliendolo dall’oasi di pace ecologica in cui continua ad elaborare la sua utopia.

 

Luoghi dell’utopia artistica e culturale: Il rifugio di Yaddo e la città di Arcosanti

Yaddo

C’è un luogo nello stato di New York, vicino alla cittadina di Saratoga Spring, dove è nata l’utopia dell’arte, il sogno di un’arcadia letteraria novecentesca e rifugio degli artisti: Yaddo. La sua storia risale al lontano 1926 e ha visto passare schiere di ospiti illustri della cultura americana agli esordi delle loro carriere che, spesso privi di mezzi ma dotati di talento, potevano soggiornare gratuitamente in questo luogo. Tra gli oltre 6000 artisti passati da Yaddo vi sono autori del calibro di James Baldwin, Leonard Bernstein, Truman Capote, Saul Bellow e Silvia Plath che in questo piccolo paradiso poterono liberamente coltivare la loro creatività al di fuori delle preoccupazioni del mondo.

Yaddo

Costituitosi col cospicuo lascito di una coppia di coniugi mecenati, gli Spencer, amanti dell’arte e del bello, Yaddo si ispirava alla loro idea di creare un luogo ospitale e congeniale alla creazione artistica vissuta in modo comunitario. Il grande edificio, infatti, fu aperto a tutti gli artisti famosi o sconosciuti, ricchi o poveri, attratti da un luogo in cui la sola preoccupazione fosse lo sviluppo del loro talento e della loro arte. Tra le confortevoli stanze di Yaddo, oltre alla tranquillità, al piacere e alla bellezza del paesaggio, adatto a coltivare l’estro artistico, si sono consumate storie di eros e d’amore, e vicende intrise di elementi di eccentricità e sregolatezza diventate ormai, con la storia delle sue cronache, un patrimonio culturale americano.

Ancora oggi a Yaddo le domande di accesso hanno come criterio principale solo il talento e la genialità orientate soprattutto alle categorie delle arti visive, letteratura, musica, performing arts e cinema. Anche se gli ospiti sono meno omogenei che nel passato, lo spirito e l’utopia iniziale della fondazione è rimasta inalterata, mantenendo il suo obiettivo di nutrire e contribuire allo sviluppo dei visionari della creatività.

Arcosanti

Costruita nel deserto dell’Arizona, non lontana da Phoenix, Arcosanti è la città voluta da Paolo Soleri, architetto e artista torinese che ha passato la vita a immaginare una città perfetta. Arcosanti è, infatti, il luogo del suo grande progetto utopico, in parte realizzato, che prende avvio da una concezione di un nuovo stile di vita. Si tratta dell’idea rivoluzionaria di una città integrata con l’ambiente circostante dove non c’è bisogno di spostarsi con le macchine, in un complesso compatto dove vita, lavoro e gioco sono tutti fruibili sotto il medesimo tetto.

La nuova città, inoltre, è progettata sul modello di una comunità che ha la funzione di incrementare le relazioni umane, massimizzare l’uso delle risorse comuni, contenere al massimo gli sprechi e i rifiuti, ridurre l’inquinamento e il consumo di energia e di materie prime. L’utopia di Soleri rappresenta, nella sostanza, un’anticipazione e una visione lungimirante del tema ecologico ancora molto sottovalutato in quegli anni.

Il progetto originale del 1970 che prevedeva una città destinata a ospitare oltre 5000 abitanti ha visto, negli anni della sua parziale costruzione, la partecipazione ai lavori di oltre 7000 persone, in massima parte di studenti e volontari, che si sono avvicendati nel dare un contributo alla realizzazione del sogno sostenibile di Soleri e della sua idea di arcologia, una filosofia da lui stesso definita un esempio di integrazione di architettura ed ecologia. Si tratta, infatti, di un importante esperimento urbano, mai realizzato prima d’ora, che racchiude in sé l’idea della necessità di un cambiamento di coscienza e di atteggiamento dell’uomo nei confronti della natura e del suo rapporto con l’ambiente.

Parafrasando lo stesso Soleri, questo grandioso progetto prende avvio con la percezione del fatto che “il nostro attuale modo di vita è probabilmente non sostenibile e forse persino non etico”. Arenatosi sul problema dei finanziamenti il progetto incompiuto di Arcosanti ospita oggi una comunità di 90 persone che, attraverso una fondazione, mantengono vivo il progetto originario e organizzano eventi culturali e workshop di arcologia.

Luoghi dell’utopia ideologica: la comunità di Nomadelfia e gli insediamenti dei Kibbutz

Nomadelfia

Nel 1948 per volontà del sacerdote don Zeno Saltini nasce Nomadelfia. In un periodo di fermenti cattolici e socialisti e influenzato da un amico anarchico conosciuto durante la sua esperienza sul fronte della seconda guerra mondiale, don Zeno si dedica alla creazione di una comunità che raccoglie centinaia di ragazzi orfani per costituire una nuova proposta di famiglia. Dopo le vicissitudini e le ostilità subite nei primi anni, che lo porteranno anche alla rinuncia del sacerdozio, la comunità si trasferisce vicino a Grosseto sui terreni donati dalla contessa Giovanna Pirelli.

L’utopia di don Zeno ha lo scopo di organizzare una comunità per vivere radicalmente i valori della fede e del messaggio originale di Cristo. L’etimologia stessa di Nomadelfia composta dalle radici greche di nomos e adelphìa significano “legge di fraternità” e condensano lo spirito costitutivo di questa comunità e dell’utopia del suo fondatore che aspirava coi suoi valori a un mondo alternativo e a una nuova civiltà.

I componenti della comunità sono costituiti da famiglie di cattolici praticanti disponibili ad accogliere ragazzi in affido ed educarli insieme ai propri figli nell’ottica di una famiglia allargata. Non essendoci proprietà privata, né circolazione di denaro, i beni vengono condivisi dalla comunità e i lavori vengono svolti a rotazione per la gestione di tutti i servizi condivisi. Se per lo Stato si tratta di un’associazione privata costituitasi in un comune e per la Chiesa di una parrocchia comunitaria; Nomadelfia, nella pratica, è un esperimento unico che richiama l’utopia socialista dei falansteri del filosofo Charles Fourier. Richiamando quel modello, infatti, vi sono spazi diurni comuni a tutti i membri e appartamenti per la notte riservati a ogni singola famiglia, oltre a un percorso educativo di scuola autonoma gestita all’interno della comunità.

Don Zeno a Nomadelfia

Oggi l’utopia realizzata di don Zeno raccoglie nella comunità oltre 300 aderenti raggruppati in circa 50 famiglie che condividono ogni aspetto della vita quotidiana usando mezzi di sostentamento comuni. Anche i lavori svolti all’esterno della comunità e i loro proventi vengono condivisi, anche se la maggior parte del lavoro è svolto nell’azienda agricola della comunità.

Lo spirito di accoglienza e l’adozione di bambini abbandonati o con seri problemi fisici o mentali resta ancora uno degli scopi e degli ideali fondatori di questa utopia evangelica. Nomadelfia è aperta a tutti quanti vogliono vivere questa esperienza e scelta di vita in modo radicale, in un’oasi di pace isolata e lontana dal frenetico mondo consumistico per ritrovare un’autentica vocazione cristiana nei valori dello spirito di collaborazione e di solidarietà.

I Kibbutz

Legati all’idea sionista e socialista di una terra promessa nella Palestina, furono i primi ebrei europei che nel 1909 vollero costruire un sistema sociale basato sul collettivismo e la comunione dei beni. Il primo kibbutz, Degania Alef, sorto sul lago di Tiberiade, fu la prova concreta di questa possibile utopia.

L’ideologia originaria dei kibbutz si basava sull’ideale dell’uguaglianza e sul concetto di proprietà comune. Si tratta di una forma associativa volontaria di lavoro collettivo, contraria al modello capitalistico e consumistico, in cui prevaleva la forma di scambio comunitario del baratto in alternativa all’utilizzo del denaro. I primi kibbutz furono essenzialmente comunità agricole i cui membri si organizzavano in base al principio di responsabilità solidale, collettiva ed egualitaria, in comitati e assemblee per condividere le decisioni relative a tutti i problemi della comunità.

Sviluppatisi in modo autonomo fino alla costituzione dello stato di Israele nel 1948, hanno mantenuto anche successivamente il loro modello e l’impostazione ideologica di tipo socialista di un’economia collettiva in cui la cassa comune serve a coprire i costi e le necessità di tuti i membri della comunità, i kibbutznik. Anche la vita privata è ridotta nella privacy e scandita da momenti collettivi e da servizi comuni per i pasti, lavanderia, scuola, educazione dei bambini e attività ricreative.

Dopo un periodo di declino nella seconda metà del Novecento i kibbutz hanno subito alcune trasformazioni diventando meno intransigenti nella loro impostazione puramente socialista e aprendosi, in alcuni casi, alla modernità. Oggi in Israele esistono ancora 270 kibbutz, i cui residenti sono in massima parte figli dei membri del kibbutz e costituiscono la terza generazione dei fondatori che mostrano interesse a questa vita comunitaria in controtendenza con la generazione dei loro padri in cui prevaleva la tendenza ad abbandonare il kibbutz.

In questi luoghi simbolo di un’utopia realizzata, erroneamente associata all’ideale marxista con cui condivide solo l’assenza di proprietà privata, il sistema dei kibbutz rappresenta ancora un modello di autonomia e federalismo di matrice anarchica e socialista libertaria. Oltre ai principi già citati, infatti, rimane fondamentale quello della libertà dell’individuo inserito in una comunità non intesa come assenza di regole ma basata sul consenso e l’accettazione volontaria delle sue modalità e dei suoi regolamenti.

Luoghi di una possibile alternativa: Le Comuni e gli ecovillaggi

La contestazione morale e sociale del ʼ68 trascinò con sé un’ondata di movimenti spontanei, alcuni più orientati politicamente e ideologicamente e altri più indirizzati alle condizioni e alle dinamiche esistenziali. La nascita della cosiddetta Controcultura giovanile, col suo rifiuto dell’autorità e dei modelli di società esistente, fece dilagare a livello mondiale il fenomeno delle comuni diffuse inizialmente in America e successivamente in Europa.

L’utopia della liberazione e dell’autonomia si concretizzò nelle comuni differenziandosi e integrandosi in realtà diverse caratterizzate da nuovi principi: da quelli ecologici ed eco-sostenibili a quelli mistici della New Age a quelli della non-violenza dei figli dei fiori, fino ad arrivare alla realtà odierna. Queste comunità spontanee, nate come laboratori e nuclei di sperimentazione di rapporti autonomi e non alienati, rispondevano, allora come oggi, al bisogno dell’individuo di aggregarsi in un progetto di vita comune, investendo le proprie risorse e condividendo una forte contestazione dei valori della famiglia tradizionale e della società.

Christiania

Esistono ancora oggi esempi di comunità hippies che si sono mantenute ed evolute negli anni come quelle di Christiania a Copenaghen fondata nel 1971 e quelle americane di Twin Oaks in Virginia e Slab city in Colorado, entrambe fiorite negli anni Sessanta. Sono rimaste attive anche altre comunità a carattere più spirituale come la famosa Auroville in India nata nel 1968 e Mandaram Shambhasalem in Francia nei pressi di Cannes.

Oggi le varie tipologie di comuni hanno iniziato a organizzarsi in gruppi nazionali e internazionali sia come comuni intenzionali, ovvero basate sulla scelta di lavorare insieme per un ideale comune, sia come ecovillaggi, cioè insediamenti che si basano sullo sviluppo spirituale degli individui senza produrre danni all’ambiente.

Il primo ecovillaggio, The farm, ancora oggi esistente, fu fondato in USA a Summertown nel Tennessee nel 1971. Dopo oltre quarant’anni dalla sua fondazione è rimasto vivo un grande laboratorio ecologico e sociale in cui si pratica il vegetarianismo e un modello di convivenza comunitaria attenta ai principi della non-violenza, della solidarietà e del rispetto ecologico per la conservazione dell’ambiente. Ogni anno, infatti, la comunità si amplia di nuove aree di territorio circostante a salvaguardia dei boschi che vengono sottratti al disboscamento sistematico operato dalle industrie del legno locali.

Anche in Italia, dove si diffuse il fenomeno delle comuni durante gli anni Settanta, vi è stata una trasformazione nel tempo di alcune di queste aggregazioni in ecovillaggi. Tra i più significativi esempi di questi ecovillaggi vanno menzionate le comunità di Damanhur in Piemonte a carattere spirituale e del Popolo degli Elfi nell’appennino pistoiese, entrambi diventati una realtà consolidata di alternativa di ideale comunitario, nel radicamento del pensiero ambientalista e di uno stile di vita ecosostenibile.


FONTI:

Rabindranath Tagore, La casa della pace, Bollati Boringhieri, Torino, 1999

Francesco Codello e Irena Stella, Liberi di imparare, Terra Nuova Edizioni, 2011

Paolo Soleri, Arcology: The city in the image of Man, Edizione New edition, 1974

Valeria Cammertoni, Perché Nomadelfia, Edizioni Artestampa, Modena, 2008

Viola Tesi, Kibbutz e utopia, Pontecorboli Editore, Firenze, 2018

Manuel Olivares, Comuni, Comunità, Ecovillaggi, Viverealtrimenti Editrice, 2008

Donata e Grazia Francescato, Famiglie aperte: la comune, Feltrinelli, Milano, 1975

Irene Bignardi, Le piccole utopie, Feltrinelli, Milano, 2003

 

CREDITS:

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