I sudditi della tirannia e della democrazia

Intorno alla metà del ‘500, Étienne de La Boétie (1530-1563), all’età di soli 18 anni, scrisse un saggio rivoluzionario per i suoi tempi, Il discorso sulla servitù volontaria. Il filosofo Michel de Montaigne (1533-1592), suo amico, che lesse il manoscritto, ne rimase affascinato e ne curò la pubblicazione dopo la morte prematura del giovane Étienne, citandolo, inoltre, nei suoi Saggi come un grande pensatore e filosofo.

La tesi centrale del saggio di La Boétie si basa sull’affermazione che i tiranni detengono il potere in quanto sono i sudditi a concederglielo. Egli, infatti, rovescia lo schema di pensatori coevi, del calibro di Erasmo da Rotterdam o Tommaso Moro, che erano in opposizione ai regimi monarchici e al potere della Chiesa per il rapporto di oppressione e prevaricazione violenta esercitato dal tiranno sui suoi sudditi. Semplicemente La Boétie intravede la possibilità che gli oppressi possano liberarsi dal tiranno con la sola volontà di disobbedire e rifiutando di essere conniventi con il proprio oppressore. Si tratta di una forza di liberazione non basata sulla forza o la rivolta violenta, ma nella sola decisione individuale e collettiva di non sostenere più il potente a cui si è asserviti.

La teoria di La Boétie pone il fulcro della sua intuizione sul consenso che le masse concedono al potere. Del resto, non si spiegherebbe come un singolo possa detenere un potere così esteso su uomini, città e nazioni senza il consenso delle masse asservite. La sola imposizione della forza da parte dei potenti, infatti, non è sufficiente a spiegare la ragione di tale asservimento, che per La Boètie si giustifica solo con la volontà di servire, di una esplicita servitù volontaria.

 

Nel suo saggio La Boètie cerca anche di indagare sulle ragioni di tale paradosso sociale, indicando i principali motivi che portano l’uomo a scegliere la schiavitù. In primo luogo l’abitudine, quella acquisita dalla tradizione, dalla famiglia e dal contesto sociale che perpetua l’assuefazione e la condiscendenza alla subordinazione. In secondo luogo l’ignoranza e una certa forma di convenienza alla partecipazione delle briciole del potere sapientemente distribuita dai potenti. Non ultimo la creazione del mistero, l’ambiguo rituale dell’inganno che si nasconde dietro il velo della religione, dei miracoli e del soprannaturale, che maschera il reale volto fragile del potere del tiranno. L’abilità dell’imbroglio si coagula in una cultura guidata dalla corruzione, dal raggiro dei cortigiani e dalla propaganda culturale che convince gli uomini a rinunciare alla propria libertà per paura o falsa convenienza.

Il messaggio cristallino di La Boètie, quasi poeticamente enunciato nel suo breve ma lucido scritto, ha una potenziale forza dirompente che il potere di allora intuisce, e lo censura per farlo cadere nell’oblio. Verrà ripreso solo durante la rivoluzione con un blando intento politico, e persino nel ‘900 farà parte della lista dei libri proibiti stilata dal regime nazista. Nonostante questo oblio, il saggio mantiene ancora oggi i suoi caratteri di attualità che possono aiutarci a riflettere sul mondo politico-sociale contemporaneo.

È sintomatico come l’idea e l’intuizione di La Boètie richiamino, per esempio, l’immagine emblematica della caduta del regime filosovietico in Romania di uno dei più grandi tiranni comunisti, Nicolae Ceausescu. Una folla oceanica, radunata per uno dei suoi discorsi nella piazza principale di Bucarest, si ribellò, privandolo del potere dopo decenni di tacito asservimento. La tirannia comunista cadde quello stesso giorno del 22 dicembre 1989. L’espressione di sconcerto sul viso di Ceaușescu, nel momento in cui iniziarono i boati di protesta della folla, segnò il momento della perdita del potere e del crollo definitivo del comunismo rumeno, attraverso una rivoluzione di rifiuto spontaneo, non manipolata e non sanguinosa. I rumeni in massa gli avevano semplicemente detto, con coraggio, basta.

Con la caduta dei regimi fascisti e comunisti nel Novecento, oggi il mondo sembra affidarsi ai soli modelli della democrazia vista come il migliore dei sistemi sociali possibili e considerata il punto di arrivo della storia politica dell’umanità.

Tuttavia, la democrazia che nasce dal pensiero liberale e il cui scopo era teso a valorizzare le potenzialità e i meriti del singolo individuo, sembra non rispecchiare a pieno questo intento negli attuali regimi democratici mondiali. In linea di principio nella democrazia rappresentativa il potere è solo idealmente accessibile a tutti attraverso il meccanismo delle elezioni basate sul principio di maggioranza. La democrazia diretta, infatti, essendo di difficile attuazione nelle complesse strutture degli stati nazionali finisce per essere delegata, col principio di rappresentanza, ai partiti, alle organizzazioni politiche e alle minoranze organizzate. Tutto ciò finisce per creare un sistema di oligarchie o poliarchie, legate a interessi specifici e di minoranze, nel modo in cui vengono definite dal politologo Giovanni Sartori nel suo saggio Democrazia e definizioni.

A differenza delle monarchie in cui i sudditi si sottomettevano al re legittimandone il potere, nei regimi democratici, il cittadino si abitua a obbedire al potere dei partiti e dei suoi apparati spesso contestandoli o disprezzandoli. Tuttavia, pur temendoli, egli si attende vantaggi, favori e clientelismi, in una sorta di servilismo che spinge alla corruzione e alla negazione di un onesto processo democratico. Si tratta di una tesi sostenuta in modo provocatorio dall’intellettuale Massimo Fini nel suo pamphlet, Sudditi, che vuole essere un manifesto contro la democrazia rappresentativa.

Anche il filosofo Norberto Bobbio che riflette sulla crisi della democrazia nel suo libro, Il futuro della democrazia, pur non ponendosi l’obiettivo di focalizzarsi sulle sue degenerazioni indica le promesse non mantenute della democrazia ideale, che fa riferimento a Locke, Rousseau e Stuart Mill, rispetto a quella reale contemporanea. Se la democrazia è il governo del potere pubblico in pubblico, afferma Bobbio, la sua rappresentanza non può occultare la gestione del potere e manipolare i cittadini estorcendogli il consenso per la sua gestione invisibile.

Secondo Bobbio, inoltre, la democrazia rappresenta il potere delle leggi che senza questo principio si trasforma in potere autocratico. In una società dove sono i grandi gruppi a dominare (partiti, sindacati, lobby, organizzazioni) la sovranità dell’individuo, purtroppo, non può trovare libera espressione. Va inoltre considerata la complessità decisionale e la sua necessaria tempestività d’intervento che rende di fatto impossibile esercitare la sovranità che spetta al cittadino in modo diretto e trasparente.

Forse il futuro di una democrazia non vissuta passivamente dai cittadini può essere ancora intravista tramite l’utilizzo delle nuove tecnologie informatiche nell’ipotesi di una futura computer-crazia? Se tale possibilità, già profeticamente intuita da Bobbio nel 1984, possa attivare una nuova partecipazione di democrazia diretta e consentire a ogni cittadino di trasmettere il proprio voto sulle singole questioni e decisioni politiche, rimane ancora un quesito senza risposta.

La piattaforma Rousseau del Movimento 5 Stelle, per esempio, potrebbe essere il primo tentativo di partecipazione diretta da cui prendere le mosse? Uscire dalla propria sudditanza al potere è sempre uno sforzo e un impegno che va protetto e tutelato con la garanzia della trasparenza e della legittimità. L’asservimento al potere mascherato nella rappresentanza va evitato anche e soprattutto nelle nuove e possibili forme democratiche future legate alla cibernetica e all’elettronica che potrebbero dare l’illusione di una garanzia di gestione trasparente della democrazia diretta.


FONTI:

Étienne de la Boétie, Discorso sulla servitù volontaria, Feltrinelli, Milano, 2014

Giovanni Sartori, Democrazia e definizioni, Il Mulino, Bologna, 1957

Massimo Fini, Sudditi, Marsilio, Venezia, 2004

Norberto Bobbio, Il futuro della democrazia, Einaudi, Torino, 2005

 

 

 

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