Kenneth Pietrobono è un giovane artista americano, millennial nato nel 1982 a Miami. Figlio di immigrati cileni scappati dopo il golpe di Pinochet, vive e lavora a New York, dove realizza lavori che spaziano dalla performance artistica a installazioni, e soprattutto opere concettuali e fotografiche.
La sua arte si sviluppa attorno al tema dell’attualità, all’idea che l’uomo contemporaneo ha di essa, e come quest’idea influenza la società. I temi su cui lavora più spesso sono la soggettività, la società contemporanea e l’effetto delle istituzioni sociali (come il linguaggio e le norme del vivere civile) sull’individuo.
Pietrobono lavora legando immagini e linguaggio: infatti, poiché quest’ultimo è una delle fondamenta della società umana, l’artista indaga le conseguenze che esso ha sull’uomo e sulla percezione che si ha degli oggetti, della realtà. Pietrobono si domanda se percepiamo un oggetto come tale perché lo chiamiamo in un certo modo e se lo potremmo percepire allo stesso modo anche con un nome diverso. Inoltre, utilizza la propria arte per trattare di problemi d’attualità, spesso legati alla situazione del suo o di altri Paesi, la crisi economica, la violenza dilagante che strazia il mondo quotidianamente, la situazione politica e tante altre problematiche sociali che assillano l’uomo moderno.
La sua opera più famosa è Terms and Conditions, una performance che l’artista ha realizzato per 30 giorni in diverse occasioni, per la prima volta nel 2012. Ha indossato 30 magliette diverse, una al giorno per 30 giorni, tutte tinta unita e senza pattern, su cui ha stampato una serie di frasi cardine che la società occidentale utilizza talmente spesso che non ci facciamo nemmeno più caso. Avendole sentite così spesso, non le vediamo nemmeno più e sono state svuotate del loro stesso significato.
Sono frasi estrapolate da contesti economici e politici, slogan e parole come «HUMAN CAPITAL», «PRIVILEGE», e «COMPETITION». Frasi che si ritrovano ovunque nella nostra quotidianità, in contesti ben precisi, e l’artista intende sottolineare quanto questi termini ci influenzino ogni giorno e quanto ne siamo assuefatti. Tutte le frasi e le singole parole sono state scelte dall’artista, che si è basato sul proprio istinto, ma soprattutto sulle proprie ricerche e sulla propria esperienza di vita personale.
«Many of these terms were chosen based on the ways they are used to study our actions and behaviors and predict our future wants and needs.»
La prima volta che Pietrobono ha realizzato questa performance era il 2012, ma da allora l’ha ripresa più volte, mostrando come l’obiettivo della sua azione sia ancora profondamente sentito. L’artista lavora quindi con l’idea di portare l’attenzione sulle istituzioni che danno forma concreta alla nostra vita quotidiana, per rimettere in luce il loro significato originario.
Un’altra opera che muove da questo punto è National Rose Garden, alla quale l’artista lavora dal 2009. L’opera ha come soggetto la rosa, uno dei fiori più conosciuti, amati e coltivati al mondo, nonché il fiore ufficiale degli Stati Uniti. Pietrobono ha realizzato un Giardino Nazionale delle Rose, sostituendo ai nomi originali dei fiori scelti, un termine ripreso dalla situazione politica e dalla società contemporanea, per esempio Surveillance, Citizens United, Indipendent Wealth, Corporate Growth, (Skilled) Migrant.
Compiendo quest’operazione, l’artista va a coltivare il fiore che gli americani amano tanto, ma allo stesso tempo coltiva anche i sistemi di pensiero che le istituzioni hanno già fatto sbocciare in ogni cittadino americano tramite l’uso di quegli stessi termini. In questo modo lo spettatore si trova sorpreso e quasi infastidito: non può più fruire il soggetto piacevole della rosa senza trovarsi di fronte a verità scomode come la situazione dei migranti o la pessima condizione economica odierna.
Pietrobono è un artista giovane, e un ottimo esempio di come l’arte possa avere voce in quanto commento intelligente e consapevole della situazione contemporanea.
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