Ida Laquidara – la protagonista del romanzo Addio Fantasmi di Nadia Terranova (Einaudi) – ha tredici anni quando suo padre scompare da casa, da Messina, dalla sua vita. Non muore, scompare e non tornerà mai più. Da anni vittima di una depressione che ha distrutto i confini della sua integrità, Salvatore – il papà, per l’appunto – è ridotto all’ombra di se stesso. La moglie e la figlia non riescono a valicare il muro che le divide dalla sofferenza di quell’uomo e lo osservano annichilirsi dalla porta che separa la stanza da letto dal resto della casa. Salvatore scompare alle 6 e 16 del mattino e l’orologio, da quel momento in poi, rimarrà fermo alla stessa ora.
Ida adesso ha trentasei anni, vive a Roma con il marito e scrive finte storie vere per la radio. Sua madre la chiama e le chiede di tornare in Sicilia: è tempo di sistemare il tetto, di ristrutturare casa, di ricostruire ciò che è rimasto per anni smembrato. Il ritorno a Messina, descritto con un’enfasi quasi mitologica, coincide con la necessità di fare i conti con il passato e i relativi sensi di colpa. Tornare significa aprire i cassetti e cercare le tracce della vita del padre; il suo odore, la sua voce, i suoi motivi. Guardare negli occhi la madre e tentare di venire a capo di un rapporto spinoso, irrisolto. Tornare per Ida significa fare i conti con un’assenza infestante, con tutti i suoi fantasmi.
Di seguito, l’intervista alla scrittrice Nadia Terranova.
Ciao Nadia! Innanzitutto complimenti, Addio Fantasmi è uno dei libri più belli del 2018. Come è nato?
Ti ringrazio di cuore. Nasce da una voce ossessiva di donna che parla dentro una casa, la casa della sua infanzia. Quello è il fulcro, la genesi, e poi ci ho costruito il resto intorno.
Hai dedicato il tuo libro «ai sopravvissuti». Chi sono i sopravvissuti a cui ti riferisci? Si può sopravvivere all’assenza di un genitore?
Si sopravvive a tutto, ed è forse l’unica cosa di cui possiamo essere certi finché siamo vivi. È terribile e salvifico insieme. Tutti siamo sopravvissuti a qualcosa, a qualcuno. Anche tu, anche io.
Addio Fantasmi è un libro molto doloroso, si fa quasi fatica a trattenere le lacrime. Il finale, però, sembra addirittura portare a una catarsi. Anche i lettori, come la protagonista, iniziano ad accettare, a fare i conti con la sofferenza. È stato doloroso scriverlo? Anche tu, che sei l’autrice, sul finale hai vissuto questa sorta di catarsi?
Sì, è stato dolorosissimo, non lo nego. Ma volevo sempre seguire una piccola luce, anche quando sembrava flebile. Non ho vissuto la catarsi mentre scrivevo, ma come spesso accade l’ho prefigurata. Ora so che ci sarà. Forse c’è già, in atto. La letteratura spesso anticipa la realtà.
La protagonista del romanzo è una donna. I fantasmi evocati sono esclusivamente uomini, invece. Sembra esserci un’assenza totale del maschile. Il padre è la mancanza intorno alla quale si costruisce l’intera narrazione, il marito, Pietro, è lontano dalla moglie ed entra nel vivo del testo soltanto attraverso il ricordare di Ida e gli sporadici sms che i due si scambiano. Nikos, uno dei personaggi fondamentali per lo svolgersi della storia, è una presenza, che seppur fondamentale, si farà presto assenza. Il contrasto tra la capacità di resistenza/resilienza femminile e il soccombere maschile intorno al perimetro dell’assenza portano a riflettere su come effettivamente spesso siano gli uomini a non avere gli strumenti per uscire vivi dalla traversata di quell’oceano che è il dolore. La società li impiglia in un insano e sfiancante ideale di virilità, rendendoli estremamente vulnerabili e fragili di fronte alla sofferenza, alle insicurezze, alle emozioni in generale. C’è una riflessione di questo tipo dietro alla tua costruzione di un’assenza tutta maschile? Esiste un motivo particolare per cui gli assenti in questo libro sono tutti uomini?
Ecco, tu l’hai detto benissimo. Io non ho fatto un ragionamento cosciente di questo tipo, ma probabilmente queste erano le idee magmatiche che avevo e alle quali mi sono ancorata per costellare la vita di Ida. Volevo senz’altro una donna forte. Presente, robusta, solida. E intorno, un deserto, una foresta di presenze evanescenti.
A proposito di maschile e femminile, secondo te come se la passano attualmente le donne nel panorama editoriale del nostro paese? Il mondo dei libri e delle parole è immune dalla misoginia che colpisce praticamente ogni ambiente lavorativo oppure anche lì le donne sono vittime delle solite discriminazioni aberranti?
La misoginia esiste e non è mai dove sembra. La discriminazione è sottile, quasi mai è davvero laddove si sta urlando al sessismo. Di solito è più radicata e profonda.
«Capii in quel momento cos’è davvero una madre: qualcosa da cui non esiste riparo». Descrivi così il rapporto tra Ida e sua madre. Quando pensiamo alla madre, pensiamo solitamente all’appiglio più saldo, ma questa frase fa pensare molto. In effetti davanti allo sguardo di una mamma ci si sente totalmente disarmati, non è facile mentire davanti ai suoi occhi. La domanda sorge spontanea: che cos’è per te la maternità?
È un porto, ma un porto tempestoso. Un approdo, ma non una certezza. Un riparo, ma non necessariamente una riparazione.
Altro elemento centrale è il mare. Addio Fantasmi è ambientato nella città tra i due mari, Messina, ed è l’acqua a scandire le tappe più importanti dell’esistenza di Ida. Tu sei originaria proprio di Messina («Io ero fatta, in ogni atomo, dell’aria di casa di Messina, e per questo avrei dovuto lasciarla.»), ma abiti a Roma. Cosa significa abitare lontano dal mare che ti ha dato i natali?
Significa aver perso una bussola, un arto, uno dei sensi… Significa muoversi nel mondo senza sapere: ah ecco, se il mare è lì allora io devo andare da quella parte. È strano, strano davvero.
A partire dal tetto di una casa che crolla ad alcuni rapporti umani che sembrano traballare, il romanzo pare essere costruito sulle macerie. Quella delle macerie è una metafora che purtroppo si adatta bene alla storia del nostro Sud, che con la sua bellezza coriacea riesce però a sopravvivere alle bruttezze della cattiva amministrazione. Il Sud resiste sempre. Da quando ti sei trasferita a Roma a oggi, pensi che la situazione del Sud sia migliorata?
In parte sì e in parte no. Si è diffuso internet, che ha azzerato molte distanze. Ma è arretrata la cultura, il disinvestimento è stato totale, e ciò ha arrecato più danni ancora che nel resto del paese: perché il sud di cultura dovrebbe vivere.
Addio Fantasmi – non esagero – sembra essere all’altezza dei grandi romanzi novecenteschi. Oltre agli espliciti riferimenti classici alla mitologia marittima, si nota infatti un indugiare sul corpo che ricorda Pier Vittorio Tondelli e a tratti una prosa tanto ammaliante da riportare alla mente la Bachmann romanziera di Malina. Quali sono gli autori e le autrici ai quali guardi quando scrivi? Ci sono scrittori/scrittrici dell’odierno panorama italiano che apprezzi particolarmente?
Amo moltissimo Tondelli, soprattutto Altri libertini e Camere separate. Leggo soprattutto narrativa italiana e consiglierei ai ragazzi di fare altrettanto: classici come Bassani, Pavese, Ginzburg, Morante, Malerba, Sciascia, Bufalino, Vittorini ma anche Alba de Céspedes e Fabrizia Ramondino. E fra gli scrittori di oggi Domenico Starnone, Elena Stancanelli, Edoardo Albinati, per citarne solo alcuni.
Ci consigli un libro per te imprescindibile?
Quaderno proibito di Alba de Céspedes.
Grazie Nadia.
N. Terranova, Addio Fantasmi, Einaudi, 2018