L’espressionismo tedesco ha sempre avuto un forte impatto nei confronti di spettatori e artisti. È noto che, fra i tanti appassionati, David Bowie amasse le opere espressioniste a tal punto che, soprattutto durante il periodo berlinese, partecipò persino a spettacoli legati al movimento artistico esploso durante gli anni della Repubblica di Weimar. Tante sono le immagini appartenenti all’espressionismo entrate a far parte dell’immaginario collettivo, tra un dottor Caligari, iconica pellicola muta del regista Robert Wiene, o Max Schreck nei panni di Nosferatu, il primo film realizzato con protagonista un vampiro; infine non può mancare Lulu, l’archetipo novecentesco della femme fatales.
Fra la moltitudine di questi personaggi, Lulu, assieme a Mortiz di Frühlings Erwachen, è la grande eroina del grottesco mondo creato da Wedekind. La femme fatales è protagonista di una doppia tragedia: Der Erdgeist & Die Büchse der Pandora, tradotti rispettivamente con i titoli Lo spirito della terra e Il vaso di Pandora. Le due pièce si potrebbero sintetizzare con un’espressione molto cara al già citato David Bowie «Ascesa e Caduta», in questo caso non dell’amato Ziggy Stardust bensì della sua sensuale Lady. Fin dal prologo di Erdgeist, ambientato in un allegorico tendone circense, Lulu viene presentata come l’incarnazione del fascino impossibile da addomesticare per l’ipocrita uomo-domatore. Secondo le parole di Karl Kraus, fiero discepolo di Wedekind, Lulu è capace di smascherare la fallace doppia morale borghese che «assegna alla donna il dovere della moralità e all’uomo il diritto alla lussuria». Nel corso della prima delle due tragedie, Erdgeist, la protagonista arriva a ribaltare questi ruoli che la società tenta, sfortunatamente anche oggi, di imporre al sesso femminile. Il marito di Lulu, il dottor Schön, cade sotto i colpi dell’irresistibile carica erotica e la forte personalità della donna, elementi femminei che Schön aveva sempre pensato di poter manipolare a proprio piacimento per soddisfare le proprie pulsioni, ignorando invece le condizioni e i desideri di Lulu.
Ma l’emancipazione sessuale raggiunta da Lulu è soltanto la ricerca di un singolo e non si concretizza in un movimento collettivo contro la già citata morale bigotta; la proto-eroina non è intenzionata (né, a dire il vero, le viene richiesto) a farsi portavoce di una rivoluzione sociale restando relegata alle comode posizioni di vertice, una volta raggiunte in maniera autonoma. Atto dopo atto la hybris di Lulu sembra infatti accecare la stessa eroina, dedita esclusivamente alla propria vendetta. A partire da Die Büchse der Pandora inizia così un rapido declino per Lulu, la quale, anziché combattere le ingiustizie subite per tutta la vita, tenta invece di prendere i posti lasciati vuoti dagli uomini morti al suo fianco. Accettando una lotta alla sopravvivenza del singolo contro il singolo, che il critico Anton Reininger riconduce alle dottrine di Nietzsche, Lulu si perde nella solitaria scalata in una società ancora corrotta, all’interno della quale la brutalità finisce per distruggere ogni suo membro. Ciò che va in scena è la bestialità di una nuova epoca, quella novecentesca. Ciò che andrebbe sconfitto non sono tanto i tabù smascherati da Lulu con grande dignità, ma appunto la bestialità di una società chiusa e demonizzatrice. Nella società dell’Homo homini lupus della quale Lulu decide di far parte, ciò che per la donna era stato un elemento di affermazione per la propria emancipazione, il sesso, finisce per diventare il suo stesso contrappasso. Derubata di tutti i suoi beni materiali, Lulu trascorrerà gli ultimi giorni della sua vita a Londra, lavorando come prostituta a Whitechapel, quartiere passato tristemente alla storia per il caso di Jack lo squartatore.
Le proprie ambizioni individuali portano Lulu a diventare vittima degli stessi meccanismi inizialmente combattuti. La protagonista incarna dunque sia la figura di vittima sia quella di carnefice: vittima di una società impari, ingiusta e diseguale ma al contempo carnefice e punitrice dei suoi membri, finisce per rimanere coinvolta anche lei in questo meccanismo mortale. Ciò non toglie che, nonostante il fallimento ineluttabile stando alle leggi socio-naturali di Wedekind, la mater sæva Cupidinum (così, sulla falsa riga di Orazio, Kraus chiama Lulu nel saggio introduttivo all’opera) abbia saputo ergersi e incarnare i sacri istinti che l’uomo ancora fa fatica a guardare in faccia.
A. Reininger, Nel segno dell’imperialismo (1880-1918) in Storia della letteratura tedesca, Torino Rosenberg & Sellier, 1986.
K. Kraus, Il vaso di Pandora in Lulu di F. Wedekind, Milano, Adelphi, 1972.