Negli ultimi mesi si sono susseguite, una dopo l’altra, una serie di multe che hanno colpito i tre big della telefonia mondiale: Apple, Samsung e Google. Samsung rappresenta il top player nel mercato globale degli smartphone, più del 20% dei cellulari venduti nel mondo sono infatti di sua produzione. Segue Apple con il suo 12% di market share. Google come produttore diretto è irrilevante, ma se si considera che tutto quello che è fuori dal 12% di Apple sostanzialmente è costituito da cellulari che montano come sistema operativo il suo Android, allora si capisce che si sta parlando in sostanza degli smartphone di oggi quando si parla di Google, un po’ come quando si parla di computer il pensiero va praticamente in automatico a Microsoft.
La Commissione Europea ha voluto affrontare proprio questa situazione evidentemente sbilanciata, multando per 4,3 miliardi di euro Google per abuso di posizione dominante. Google è stata accusata di aver obbligato i produttori di smartphone interessati ad avvalersi di Android come sistema operativo a pre-installare la suite di app Google come condizione per fornire la licenza del più importante app store del mondo Android, PlayStore. Il Commissario alla Concorrenza Marethe Vestager ha spiegato:
Il nostro caso riguarda tre tipi di restrizioni che Google ha imposto ai produttori di apparecchi Android e operatori di rete per assicurarsi che il loro traffico andasse verso il motore di ricerca di Google – ha spiegato Vestager – In questo modo, Google ha usato Android come veicolo per consolidare il dominio del suo motore di ricerca. Pratiche che hanno negato ai rivali la possibilità di innovare e competere sui meriti. E hanno negato ai consumatori europei i benefici di una concorrenza efficace nella importante sfera mobile. Questo è illegale per le regole dell’antitrust Ue.
Il problema di quella che sembra una mossa sensata per riequilibrare un mercato estremamente sbilanciato è stato subito fatto balenare dal CEO di Alphabet, la società che controlla Google: se il modello di business di Android era stato pensato per non far pagare licenze tecnologiche, guadagnandoci poi comunque abbondantemente in maniera indiretta con il mercato garantito alle proprie app, ora i costi di licenza per l’uso di Android ricadranno molto probabilmente su quel consumatore che si pensava di voler tutelare e che, a dir la verità, ha da tempo dimostrato di preferire Android a qualsiasi altra soluzione si sia affacciata sul mercato mobile, anche se promettente come Windows Phone o BlackBerry
Dall’Italia è arrivata invece la prima multa al mondo per la cosiddetta “obsolescenza programmata”: Apple e Samsung sono stati pesantemente sanzionati dall’Autorità Garante della Concorrenza e del Mercato per pratiche commerciali scorrette. Secondo l’authority italiana Apple e Samsung avrebbero imposto ai consumatori aggiornamenti software su dispositivi non in grado di supportarli, senza preventivamente informare gli utenti delle gravi problematiche e senza permettere un eventuale downgrade. Apple in realtà, sull’onda del cosiddetto Batterygate aveva affermato che il calo di performance dei vecchi iPhone dopo gli aggiornamenti era voluto, mirando a preservare l’autonomia della batteria. Evidentemente le autorità italiane non hanno ritenuto soddisfacente questa versione dei fatti. E per quanto riguarda il mondo Android, di cui Samsung è la massima espressione, per certi versi appare abbastanza ironico che si possa venire sanzionati per un eccesso di zelo negli aggiornamenti, quando si pensa che il 90% dei produttori Android non rilascia nemmeno i fondamentali aggiornamenti di sicurezza, lasciando i propri consumatori in balia di gravi falle.
Il punto è che ancora una volta non è stato pienamente compreso nelle sue conseguenze dalle autorità del Vecchio Continente il passaggio del mondo della tecnologia da una logica di prodotto a una logica di servizio. La tecnologia hardware ovviamente non può aggiornarsi allo stesso modo di quella software, ma forse sarebbe molto più opportuno aiutare i consumatori europei a prendere coscienza che la valutazione non va fatta su un prodotto statico, qui ed ora, ma su un processo di lunga durata, al cui interno occorre fare le proprie riflessioni non solo sul rapporto prezzo/durata, ma su quanto e come in quel rapporto si inseriscano i fondamentali aggiornamenti incrementali, che per un certo periodo di tempo rendono il proprio dispositivo un po’ come un investimento in Borsa, in cui, rispetto al prezzo dell’acquisto delle azioni, nel lungo periodo ci si può essere un margine di miglioramento, di guadagno anche notevole rispetto al momento dell’acquisto oppure esserci una fluttuazione dannosa e minacciosa.