Normalmente in un’intervista, o in un semplice scambio di confidenze, si viene interrogati su questioni piuttosto comuni: il libro preferito, il passatempo prediletto etc., ma talvolta non ci si risparmia nelle domande più intime.
<<Qual è il luogo più strano in cui hai fatto sesso?>>
<<La realtà>>
Suonerebbe forse così lo scambio di battute fra due interlocutori di un futuro non lontano, e darebbe ragione all’allerta che imperversa nella società occidentale. Sotto l’accusa rivolta contro il rapido dilagare delle tecnologie cade proprio l’approccio laterale all’affettività e alla sessualità consentito dalla pornografia.
I dati forniti dalle indagini statistiche rilevano, rispetto al secolo scorso, una percentuale nettamente inferiore di giovani sessualmente attivi, compensata invece da una più assidua frequentazione dei siti pornografici. Cosa giustifica questi risultati? La pornografia propone surrogati virtuali del sesso, alternative istantanee e fisicamente meno rischiose e, perciò, avvicinate senza remore. Con l’avvento dell’AIDS, negli anni Ottanta del secolo scorso, lo stigma delle malattie veneree si è impresso su larga scala, restringendo lo spazio di manovra delle abitudini sessuali dei giovani, i quali approcciano la sessualità con maggiori riserve di quanto non accadesse in passato (l’educazione sessuale si premura infatti di aggiornare le nuove generazioni circa i fattori di rischio).
Nella fase della prima adolescenza, l’esordio delle potenzialità riproduttive dell’organismo implica un mutamento del rapporto con il proprio corpo nonché col mondo circostante, costituendo una fase cruciale dello sviluppo fisico e psichico dell’individuo. Lo sviluppo psicofisico che ha luogo in età adolescenziale attraversa un clima contraddittorio: nella comunicazione mediatica impera il nudo commercializzato (sotto le vesti della liberalizzazione del corpo), sul piano collettivo persiste invece l’atteggiamento opposto di condanna.
Per gli utenti di tenera età la pornografia può soddisfare le curiosità inerenti al sesso che incontrerebbero invece l’imbarazzo o la resistenza dei genitori; essa costituisce inoltre una preziosa fonte dalla quale trarre suggerimenti. Tale richiesta di “istruzioni” risponde alla premura, inoculata dall’opinione di massa, non del successo riproduttivo, bensì di quello performativo – vale a dire sfruttare le proprie capacità fisiche per raggiungere, e soprattutto garantire al proprio partner, il massimo grado di appagamento – e di non farsi cogliere impreparati.
Con la fruizione della pornografia (ormai accessibile senza troppe restrizioni) non solo sono state ridisegnate le modalità di approccio alla sessualità, ma si fa soprattutto esperienza della propria idoneità rispetto a un modello di confronto. La visione del sesso proposta dalla pornografia è tuttavia enfatizzata e rischia pertanto di influenzare in misura determinante la formazione dell’autostima dell’adolescente. Non è semplice, specialmente in giovane età, persuadersi che un film pornografico è, per definizione, una messinscena, in cui agiscono attori selezionati, imbastita per proporre una visione ideale (o quantomeno sopraffina) del sesso. Misurandosi con essa, prevale l’attenzione per i canoni fisici.
È in questo frangente che si manifestano i risvolti più complessi della scoperta della sessualità in un momento delicato qual è appunto l’adolescenza. Le ultime sezioni del saggio L’io diviso – studio sulla schizofrenia condotto dallo psichiatra Ronald Laing e pubblicato nel 1955 – prendono in esame l’età dello sviluppo quale momento prolifico di insicurezze che possono evolvere in disturbi psicotici legati, appunto, al senso di soggezione che interessa solitamente gli adolescenti.
Quella della pubertà è dopotutto una fase in cui si assume coscienza della propria presenza corporea; all’esperienza della fisicità condivisa – cioè predisposta all’osservazione – consegue un atteggiamento di imbarazzo e competizione. Sulla base degli studi condotti su campioni di età adolescenziale, Laing derivò il senso di colpevolezza che caratterizza la pratica dell’autoerotismo. Un simile stato d’animo è il risultato del condizionamento esercitato dalla società, che indirizza il pensiero comune ad accusare la sessualità in termini di proibizione (alcuni soggetti, osserva Laing, temono che i comportamenti autoerotici possano trasparire dalla loro semplice presenza, o che gli altri possano avvertire l’odore dello sperma). La pornografia ha sempre rappresentato l’opportunità di aprirsi all’esplorazione della propria corporeità, di appagare, quindi, curiosità represse dal divieto opposto da un costume morale ostinato e riluttante, sottraendosi al contempo all’imbarazzo di cui parlò Laing.
Il consumo di materiale pornografico contribuisce talora a incrementare le ansie legate all’esperienza del sesso. È alla fruizione della pornografia che si imputa, in sintesi, l’annichilimento della spontaneità con cui il sesso andrebbe conosciuto e praticato: una delle principali ragioni di preoccupazione, peraltro fomentate dagli esiti delle ricerche citati all’inizio dell’articolo, riguardano l’abitudine all’esperienza virtuale del sesso, che rischia di rendere dozzinale l’atto pratico, con l’implicazione di un’esigenza crescente e quindi sempre più difficile da appagare.
Non compete alla penna di un inesperto trattare i rischi cui si espone chi è fin troppo aduso al materiale pornografico, né dissertare sulle ripercussioni psicofisiche nell’intimità di una relazione. L’invito rivolto ai lettori più giovani è quello di comprendere l’utilità di Internet come strumento da utilizzare con moderazione e, soprattutto, di esplorare, con non minore cautela, il mondo in prima persona, non attraverso altro.
FONTI
R. Laing, L’io diviso, Einaudi, 1969
Cristiano Barducci, La pornografia fa scuola, Internazionale
CREDITS
Copertina Egon Schiele – studio per Atto d’amore (1915), matita, acquerello e tempera su carta