I problemi dell’Europa con la tecnologia: Copyright e GDPR

L’Unione Europea colpisce ancora: questa volta le ambizioni regolamentatrici dell’Europa si sono rivolte ad uno degli aspetti notoriamente più problematici della Rete, la tutela del diritto d’autore. Un’altra legge totalmente inutile, se non dannosa, che nelle ambizioni vorrebbe regolamentare una questione cruciale, ma nella realtà dei fatti si tradurrà nell’ennesima legge farsa, che farà notare ancora una volta a tutto il mondo il gap culturale che il Vecchio Continente sta accumulando non solo nella progettazione tecnologica innovativa (che proviene da USA e Asia), ma anche nella comprensione politica dei processi in atto.

La nuova legge che è stata approvata dal Consiglio Europeo ambisce a tutelare i piccoli editori di fronte a giganti del Web, come Google, Facebook e Twitter. A ogni innovazione tecnologica (fin dal passaggio dall’oralità alla scrittura) l’autoproclamato mondo intellettuale si sente minacciato e defraudato. In questo caso il nodo del contendere sarebbe l’accusa rivolta ai social network e ai motori di ricerca di guadagnare sui contenuti proprietari degli editori, utilizzati senza nessun riconoscimento economico dai big tech, per dar vita alle anteprime dei risultati delle ricerche o per le bacheche personali degli utenti.

Chi conosce anche solo qualche principio base di marketing sa quanto un simile ragionamento sia impostato secondo una logica incredibilmente capovolta: sarebbe come pretendere che giornali, canali televisivi o emittenti radiofoniche paghino gli inserzionisti per aver diritto a pubblicare o mandare in onda quegli stessi materiali che sono semmai gli inserzionisti a supplicare di vedere condivisi il più possibile dappertutto. Google, Facebook e Twitter hanno creato uno stesso meccanismo per lo spazio della Rete, è un merito indubbio e chi lo vorrebbe sfruttare dovrebbe riconoscere che non può dettare le regole del gioco: o le accetta, o si taglia fuori da queste opportunità, ritenendole (erroneamente) un danno economico e non un guadagno. Può invece pensare di sviluppare qualcosa di simile e migliore, come le varie emittenti televisive che per rispondere al successo di YouTube e Netflix hanno realizzato, con qualche discreto successo, le proprie forme di Tv On Demand, come RaiPlay, NowTv ecc. I rami secchi del mondo editoriale, quello librario e musicale, invece, pensano ancora con una mentalità pre-moderna e tipicamente umanistica al ricorso al mecenate di turno, che oggigiorno viene concordemente individuato nello Stato, a cui si ritiene competa l’obbligo di dare soldi “a pioggia” e a “casaccio” per mantenere carrozzoni editoriali inutili e incapaci di trarre profitto secondo logiche di mercato.

Oltretutto pretendere, come fa l’articolo 13 del nuovo regolamento europeo, che social network e motori di ricerca esercitino un controllo su quanto viene pubblicato nelle loro piattaforme, per prevenire la pubblicazione di materiali coperti dal diritto d’autore, rappresenta l’ennesima difficoltà da parte del Vecchio Continente a comprendere la rivoluzione apportata dalle reti sociali nei sistemi di comunicazione e rischia di agevolare uno scenario molto più pericoloso del mancato riconoscimento di qualche centesimo a enti residuati del corporativismo fascista, come l’Ordine dei Giornalisti, o carrozzoni statali ottocenteschi come la SIAE. Il vero rischio è piuttosto la sempre più minacciosa trasformazione dei social network in veri e propri media (tradizionali), che, come degli editori tradizionali, si troverebbero a controllare, supervisionare e dirigere tutta la comunicazione digitale in pochi concentrati di potere: leggi come quella partorita dall’Europa sembrano incentivare proprio una tale deriva.

Del resto anche un’altra normativa europea che sembrava promettente ha rivelato presto tutte le sue criticità: è il caso emblematico del Regolamento Europeo sulla Privacy, il cosiddetto GDPR (General Data Protection Regulation). È sacrosanto voler vedere tutelata la propria privacy quando si naviga in Internet, ma al momento la GDPR, combinata con la precedente normativa europea definita Cookie Law, non si è risolta in molto di più che fastidiosi banner sempre più prolissi e confusionari ogni volta che si naviga in Rete. Anzi, a veder bene, ha permesso, ora che c’è l’esplicita autorizzazione dell’utente, di spingere ancora di più sull’uso dei cookie e altre tecnologie di tracciamento, che poi in realtà non contengono chissà quali informazioni secretate.

È tempo che l’Europa prenda coscienza che è completamente tagliata fuori dalle direttrici di sviluppo del mondo digitale, ne è soltanto spettatrice, e questo ha inevitabili conseguenze. Non può essere lei a dettare l’agenda, perché i proprietari del mondo virtuale sono altrove e noi ne siamo sostanzialmente ospiti.

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