Odio gli indifferenti è un libro pubblicato da Chiarelettere e inserito in una collana che si chiama «Instant Book». Raccoglie articoli, brevi saggi, riflessioni e discorsi di Antonio Gramsci tra il 1916 e il 1928, tra cui quello che dà il nome alla raccolta. Si traccia il profilo di un periodo italiano storicamente definito e con i suoi specifici eventi, ma che appare evidentemente attuale al lettore fin dalle prime pagine.
Per fornire una risposta, occorre interrogarsi su quanto gli stessi giovani abbiano la responsabilità della loro marginalità in quest’ambito. Per quanto i Millennials siano una generazione che ha a portata di mano gli strumenti necessari a conoscere quello che accade intorno a loro, spesso la consapevolezza politica e sociale e la volontà d’azione sono sostituite da un giudizio superficiale e approssimativo. Questo accade perché travolti da un continuo bombardamento di stimoli e informazioni in cui sembra non esserci più spazio per riflessioni profonde e di spessore sui temi più attuali.
Il pensiero di Gramsci, di cui molti spunti fondamentali si ritrovano in questo libro, può essere un buon vademecum per un giovane cittadino attivo e attento, che voglia interrogarsi sul presente e prendervi parte.
«Ciò che avviene, non avviene tanto perché alcuni vogliono che avvenga, quanto perché la massa degli uomini abdica alla sua volontà, lascia fare.»
Il primo discorso inserito nella raccolta è proprio Odio gli indifferenti, nel quale si esprime il risentimento contro coloro che non parteggiano, che lasciano in mano a pochi anche le scelte per cui loro stessi pagheranno le conseguenze e si rammaricano dei fallimenti della società come se fossero affari che non riguardano loro. Aggiunge Gramsci che, sebbene a volte costoro scelgano di apportare il loro contributo, «questo contributo alla vita collettiva non è animato da alcuna luce morale; è prodotto di curiosità intellettuale, non di pungente senso di responsabilità».
Comincia con questo capitolo un percorso volto a sgretolare principi insani di umanità, politica e linguaggio, e a costruire una nuova solidità morale: così, a distanza di cento anni, questa affermazione suona incredibilmente familiare. Si pensi al modo in cui, oggi, si apporta il proprio “contributo” a una causa: molto spesso, questo viene espresso attraverso i social che, seppur siano un potentissimo mezzo di scambio e comunicazione, spesso si rivelano solo una sterile vetrina per dar sfoggio della propria “curiosità intellettuale”. Appoggiamo con un post su Facebook le cause in cui crediamo, commentiamo con indignazione una manovra politica che ci sembra improponibile e anacronistica, ma la maggior parte delle volte ci limitiamo a questo.
Queste considerazioni improduttive andrebbero sostituite con un effettivo dialogo, uno scambio costruttivo tra gli individui. Una collettività pensante che esprime e difende il proprio pensiero ha più valore di un singolo individuo e, davanti a ciò che non tollera, sa divenire intransigente. Tolleranza e transigenza sono trattate in un altro capitolo del libro: qui, Gramsci afferma che «l’intransigenza è l’unica prova che una determinata collettività esiste come organismo sociale vivo, ha cioè un fine, una volontà unica, una maturità di pensiero». È solo grazie alla tolleranza, intesa come capacità di discussione, propensione all’ascolto e solidarietà, che si può divenire intransigenti. Al contrario, l’intolleranza impedisce l’accordo e porta all’eccessiva transigenza.
Solo una collettività di giovani intransigenti e tolleranti può, oggi, acquistare maggior peso politico, sviluppando una vista più acuta anche nella società più torbida.
In questo senso, particolarmente attuale si rivela anche il capitolo sui Politici inetti, identificati come coloro che non riescono a provvedere adeguatamente ai bisogni di una società. La politica viene qui assimilata alla scienza, poiché entrambe richiedono una lungimiranza e una fantasia nella sperimentazione; nella politica, la fantasia ha per oggetto gli uomini e il suo fallimento è dettato da una fantasia priva di valore morale. La politica fallisce quando non riesce a immedesimarsi concretamente nella realtà degli uomini e delle donne, nel loro operato quotidiano, nel loro dolore. Per Gramsci, i politici inetti «non sanno identificarsi nel dolore degli altri, perciò sono inutilmente crudeli».
Una politica inefficace è quella che non si rivela empatica nei confronti dei più deboli e dei diversi. Oggi più che mai ne facciamo tristemente esperienza.
A tal proposito, un’altra considerazione così lontana nel tempo suona incredibilmente vicina:
«L’Italia è il paese classico dell’ospitalità: gli italiani hanno tutti il cuore più grande del duomo. Piangono e si inteneriscono agli spettacoli pietosi, non rifiutano l’obolo di una “buona parola” a nessuna miseria. Ma lo spirito evangelico non ha saputo trasformarsi nella forma moderna della solidarietà e dell’organizzazione disinteressata e civile. Esso è rimasto pura esteriorità, inutile e melensa coreografia».
D’altra parte, malgrado il passare degli anni, Gramsci sostiene – rifacendosi a Benedetto Croce – la contemporaneità della storia: un fatto storico diventa contemporaneo nel momento in cui viene ripensato per essere compreso e valutato dalla coscienza dei contemporanei. Oggi, ancora più rispetto al periodo della Prima guerra mondiale, abbiamo gli strumenti necessari per indagare e conoscere il passato e da questo potremmo e dovremmo imparare; ma quel passato ci appare più lontano di quanto in realtà non sia e spesso rivive nell’attualità.
La lettura di questi scritti e la comprensione del pensiero gramsciano, alla luce di queste considerazioni, sono un’opportunità preziosa e obbligata per le nuove generazioni (e non solo) di riflettere sulla storia e sui tempi odierni. Sono un invito a scrollarsi di dosso l’indifferenza e a prendere coscienza del proprio presente, armandosi di tolleranza e dialogo, di empatia, di attivismo. La storia insegna, e insegna che abbiamo ancora tanto da imparare; la generazione Y ha lo spirito e gli strumenti per farlo.
A. Gramsci, Odio gli indifferenti, Chiarelettere, 2011