Là dove Mar Tirreno e Mar Ionio si incontrano c’è una leggenda. O meglio due. Due miti che si toccano così come due sono le correnti marine che confluiscono. Calabria da una parte e Sicilia dall’altra. Fortunata ma al tempo stesso pericolosa è la posizione in cui si colloca lo stretto di Messina. Più che tra due fuochi, tra due mari. Ne derivano due flussi differenti e discordi che trovano qui il loro punto di incontro.
Scilla e Cariddi non rappresentano solo due movimenti fluidi e costanti, ma anche due storie che tra di loro comunicano. La duplicità è la caratteristica fondamentale con cui approcciarsi a tale tratto di mare e ad ambedue le narrazioni mitologiche. Rilevante è l’importanza attribuita ai racconti nel corso della tradizione classica.
Prima ninfe, e poi trasformate in mostri, entrambe hanno subito una metamorfosi: da belle fanciulle a orribili creature. Da un lato Scilla, una graziosa vergine che viveva in Calabria, nata dall’unione tra Forco e Crateide, che soleva immergersi nelle acque del Mar Tirreno dalla spiaggia di Zancle. Una sera, alla vista di Glauco, metà uomo e metà pesce, si spaventò e la sua fuga fu immediata. Il dio marino chiese così aiuto a Circe, la quale però fu colpita da una logorante gelosia e non esaudì il desiderio del figlio di Poseidone: creare una pozione magica per far innamorare la casta giovinetta di lui. Al contrario invece, la perfida maga ne produsse una letale. Versò infine il filtro velenoso nelle acque della spiaggia frequentata da Scilla. Non appena entrò in acqua, la ninfa vide ingrandirsi il petto e crescersi addosso tante gambe serpentine, teste e file di denti. L’invidia e i capricci della perfida Circe furono dunque i motivi che portarono alla tragica metamorfosi di Scilla che Omero descrive così:
“Dodici ha piedi, anteriori tutti,
sei lunghissimi colli, e su ciascuno
spaventosa una testa, e nelle bocche
di spessi denti un triplicato giro,
e la morte più amara in ogni dente.”
(Omero, Odissea XII, 117-122)
Dall’altro lato Cariddi, neiade figlia di Poseidone e Gea. Nota per la sua voracità e cleptomania, rubò a Eracle i buoi di Gerione. E se li divorò in brevissimo tempo. Zeus punì tale atto di tracotanza e ingordigia scagliandola con violenza nel mar Tirreno. Avvenne successivamente la sua trasformazione. Cariddi mutò in una gigante lampreda dalla bocca talmente larga da risucchiare il mare e rigettarlo fuori, per tre volte al giorno. Iniziò così a creare pericolosi vortici che risucchiavano le navi di passaggio, distruggendole ed espellendone i resti. Ad essere responsabile della propria trasformazione fu la stessa Cariddi. Dopo averla presentata all’eroe, Omero lo esorta a non avvicinarsi ad essa:
“E alle sue falde assorbe
La temuta Cariddi il negro mare.
Tre fïate il rigetta, e tre nel giorno
L’assorbe orribilmente. Or tu a Cariddi
Non t’accostar, mentre il mar negro inghiotte”
(Odissea XII,135-139)
È Ovidio nei XIII e XIV libri delle Metamorfosi a tramandare entrambi i miti. Scilla è colei che dilania, Cariddi invece colei che risucchia. Proprio sulla base di tali credenze, gli antichi marinai evitavano l’odierno stretto di Messina. La leggenda era talmente seria e sentita da sembrare credibile. Approvato è, d’altra parte, che il ristretto spazio e le differenti correnti non favoriscano il transito delle imbarcazioni. Ma per secoli rimane un luogo inavvicinabile e quasi vietato. Non perché si tratti di una inviolabile proibizione, ma anzi, è proprio l’assente andirivieni ad alimentarne la convinzione.
Cade di conseguenza un velo di ignoranza data dalla non conoscenza del luogo. Si infittiscono i racconti sul mortifero attraversamento dello stretto. Aumentano i dubbi e le paure. Cosa succede se una nave attraversa tale area? Come può un mortale sfidare due mostri? L’uomo sarà mai in grado di dominare un tratto di mare insidioso e burrascoso? Le domande rimangono per anni senza risposta.
Non a caso è Ulisse il solo ad esserci riuscito. È lui l’unico ad affrontato i due terribili mostri, ad aver sfidato la morte certa e aver vinto. Il suo coraggio ed eroismo lo hanno portato a controllare il pericolo. Forza, tenacia e pazienza aiutano l’uomo dal multiforme ingegno a superare l’ennesima difficoltà. Dopo aver incontrato le Sirene, si ritrova davanti ai due mostri: Scilla che afferra i marinai e Cariddi che ne distrugge le navi. Inevitabilmente, però, sa di dover sacrificare sei dei suoi compagni prima di approdare all’isola del Sole, nonché odierna Sicilia, come profetizzato dall’indovino Tiresia.
Paura ma anche attrazione suscita questo luogo sin dall’antichità. L’alone di mistero che lo caratterizza gli fa acquisire allo stesso tempo fascino, accende interesse nonostante i racconti leggendari. Unico al mondo, lo stretto di Messina è un luogo di fantasia. Mostri incredibili e infernali bloccano il passaggio nel canale. Ma non solo: durante il passaggio, il cielo si fa scuro e si scatenano tempeste. Per lo stesso Ulisse è uno dei momenti peggiori e più difficili del viaggio: si sente impotente. Non può far nulla per salvare tutti i suoi compagni. E così, si arrende alla loro inevitabile morte.
Quanto di ciò che viene narrato è vero? Ben poco. Ma c’è un fondo di realtà. Un fondamento scientifico è alla base di queste dicerie sul mare: flussi d’aria attraversano lo stretto. La navigazione non è certo facile, correnti celeri e irregolari creano vortici visibili anche ad occhio nudo. Oggi possiamo dare spiegazioni tecniche e razionali a questi fenomeni, ma un tempo non era così. Gli strumenti di ricerca ancora non esistevano. Credere a mostri divoratori di uomini era più pauroso ma sicuramente anche più affascinante.