Troppo spesso sui mezzi pubblici che portano a scuola, all’università o al lavoro, prima di entrare in doccia o prima di andare a letto è facile aprire applicazioni musicali quali YouTube, ITunes o Spotify e venir investiti dai “suggerimenti” disgustosi del web. “Disgustoso” è un termine violento in quanto a definizione di un brano, ma è triste dire non esagerato, se si ascolta con orecchio critico molta della musica puramente commerciale distribuita. Si potrebbe definire un miscuglio fra pop, techno, rap, e oggi si parla anche di trap; di fatto il termine che meglio la inquadra è “commerciale”, ovvero plasmabile a molteplici situazioni: dal sottofondo nei centri commerciali, al bar, alle pubblicità, alle colonne sonore di filmetti di sottile spessore fino alle dirette cuffiette degli ascoltatori.
Il fatto paradossale, tuttavia, è che oggi come non mai il mondo è pieno di talenti straordinari dal genio innato che creano letteralmente delle opere d’arte con tecniche stilistiche, armoniche e ritmiche estremamente sofisticate e risultati meravigliosi. Ancora più sconcertante è che molti di questi artisti con la A maiuscola sono essi stessi parte della generazione Millenial – per fare un paio di nomi esemplificativi basti citare Jacob Collier o il trio svedese dei Dirty Loops. È chiaro che musicisti come quelli appena nominati hanno un indiscutibile talento fuori dal comune, ma è anche vero che oggi i mezzi per imparare a fare musica (e perché no, anche apprezzarla) sono innumerevoli: a partire dai classici conservatori, fino alle molteplici scuole di musica, fra cui molte rilasciano diplomi riconosciuti anche all’estero. Inoltre, la qualità raggiungibile è facilmente molto alta grazie a mezzi tecnologici di grandissima qualità sempre più spesso disponibili anche per la massa e non più solo per pochi. La precisione tecnica raggiunta dalle punte dell’iceberg cui ci si riferisce e la loro cultura musicale che si rispecchia in soluzioni armoniche semplicemente geniali hanno livelli che in soli pochi casi isolati nel passato sono stati raggiunti, ciò a riprova del fatto che oggi esiste la possibilità di avere musica eccellente.
D’altro canto molta della musica che si ascolta è inequivocabilmente spazzatura: facilmente ci si riferisce alle canzoni, più che allo strumentale, se si vuol ragionare sulle grandi quantità di ascoltatori. E allora si assiste alla mancanza totale di sforzo compositivo: melodie trite e ritrite, armonie sovrapponibili, che spesso sfociano nel ridicolo tanta è la somiglianza (molti artisti musicalmente colti scherzano spesso su questo fatto definendosi in grado di suonare tutte le canzoni esistenti con soli quattro accordi: i famosi “four chords”; Ed Sheeran stesso, per rifarsi ad un’icona del pubblico millenial, ne ha dato prova in una recente intervista). E poi quale comunità, figlia della canzone italiana baciata da brillanti testi poetici e narrativi come quelli di Mogol o De Andrè, potrebbe accettare le quattro parole messe in fila dei lyrics più in voga al momento?
Eppure ciò accade.
Si spera che questo non sia il reale gusto di giovani e giovanissimi, si spera che si tratti di pura passività, ovvero di mancanza di voglia di scoprire cosa il panorama musicale oggi abbia da offrire.
In questi termini ma, anche più in generale, come un semplice consiglio spassionato sarebbe giusto, bello e stimolante che a maggior ragione in Italia si assistesse ad uno sviluppo della cultura musicale a partire dalle famiglie, un rito: insieme alla favola della buonanotte, un assaggio di buona musica e non indifferenza di fronte ad una delle forme d’arte che maggiormente ci dovrebbe vedere come italiani in primis fra tutti veri protagonisti.