Tocca ancora una volta al Caucaso, dopo le terribili guerre cecene, ricordarci che le magnifiche sorti e progressive sono ancora ben lontane dall’avverarsi. Dalla fine di settembre infatti si sono ravvivate le ostilità tra due storici nemici: Armenia e Azerbaigian, che, oltre alle iniziali, hanno poco in comune. Il Caucaso, così come il Medio Oriente, è sempre stato una polveriera, il cui innesco è spesso stato fornito da Stati europei od occidentali. Lo sanno bene i russi e i loro scrittori che, già nella prima metà dell’800, parlavano delle battagliere genti del Caucaso .
In questo caso, tuttavia, la questione è interna e riguarda gli equilibri locali, il che non esclude la presenza di top players internazionali come Turchia, Iran, Israele e la stessa Federazione Russa. Questi due piccoli attori regionali infatti rischiano, qualora non si trovasse (o non si volesse trovare) una soluzione, di diventare il terreno dell’ennesima guerra per procura.
Lo scontro che oppone Armenia e Azerbaigian nella regione del Nagorno-Karabakh (Artsakh in armeno) ha sempre seguito le dinamiche della geopolitica moderna. Sin dagli albori del conflitto infatti è stato fomentato l’odio etnico, a causa del quale gli armeni sono visti come terroristi dagli azeri e viceversa. Questo ha portato a una situazione di totale incomunicabilità, che facilita il perseguimento dei propri interessi da parte delle autorità locali e internazionali. La sola idea dello sconfiggere il nemico Azero/Armeno è infatti sufficiente a giustificare tutte le peggiori barbarie e soppressioni della libertà.
È tutto un grande gioco, ben riassunto da quell’immagine spesso presente nei libri di storia dove i francesi e gli inglesi si spartiscono il mondo con forchetta e coltello.
I precedenti
Per comprendere l’entità del conflitto conviene fare un brevissimo salto nella storia delle relazioni tra Armenia e Azerbaigian. Sebbene la storia armena sia molto antica, così come quella delle popolazioni turciche (Azeri, Turkmeni, Turchi e così via) non sono mai esistiti sotto forma di Stati nazionali fino alla fine della prima guerra mondiale. Armenia e Azerbaigian nacquero dallo smembramento dell’Impero Ottomano e sin da subito iniziarono a litigare. Tra le aree contese alla fine degli anni ’10 c’era già la regione del Nagorno Karabakh, oggi ancora al centro delle disputa.
L’occupazione sovietica, che inglobò progressivamente gran parte dei piccoli Stati confinanti, pose fine alle dispute. Fu poi grazie a Stalin che si venne a creare la situazione attuale. A causa della sua passione per lo spostamento di intere popolazioni, la regione del Nagorno-Karabakh venne dichiarata oblast’ autonoma e gli azeri presenti vennero scacciati. Al loro posto, vennero portati migliaia di armeni che ora costituiscono la comunità assolutamente prevalente dell’area.
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Con la fine del dominio sovietico e l’indipendenza di Armenia e Azerbaigian, anche la regione del Nagorno Karabakh tentò la via dell’indipendenza. Il due settembre 1991 proclamò la propria indipendenza, ratificata da un referendum e ufficializzata nel gennaio 1992. Sin dal momento della sua nascita, la Repubblica dell’Artsakh (nome armeno della zona) si trovò coinvolta in un sanguinoso conflitto che durò fino al 1994. Proprio in quell’anno, grazie alla mediazione del Gruppo di Minsk, composto da Usa, Russia, Francia e parecchi altri Stati europei venne siglato il primo cessate il fuoco, lasciando circa 30.000 morti sul campo. Dal 2006 l’Artsakh possiede una propria costituzione approvata tramite referendum.
Durante i decenni successivi, si sono verificate diverse schermaglie, la più recente nel luglio di quest’anno. Tuttavia, nessuna di esse si era protratta per così tanto tempo, assumendo i tratti di una vera e propria guerra.
Cosa sta succedendo
Dal 27 settembre è in atto il più lungo confronto armato finora registrato tra Azerbaigian e Armenia dopo la guerra del 1994. Ovviamente, nessuno dei due schieramenti ha ammesso di aver aperto le ostilità; al momento l’Armenia accusa l’Azerbaigian e viceversa. È stato Nikol Pashinyan, primo ministro armeno, a dichiarare per primo la legge marziale e a mobilitare quindi i riservisti. Solo nella serata del 27 è arrivata la contromossa dell’Azerbaigian.
Tra le prima indiscrezioni che sono filtrate, ce n’è una di grande importanza: la presenza di guerriglieri siriani nelle zone dei combattimenti. Sembra infatti che la Turchia abbai organizzato un ponte areo dalla regione ribelle di Idlib, in Siria, fino all’Azerbaigian, dove i ribelli vengono arruolati. Ovviamente tutto avviene nel più gran segreto e i diretti responsabili hanno negato la presenza di mercenari. Fonti autorevoli come il «Guardian» hanno tuttavia rintracciato alcuni di essi e sono riusciti a ottenere confessioni, sebbene sotto falso nome.
Se l’Azerbaigian punta a recuperare i territori del Nagorno-Karabakh, l’Armenia lotta per difendere la non riconosciuta Repubblica dell’Artsakh, a maggioranza armena. La situazione è complicata dal fatto che, pur appartenendo de iure all’Azerbaigian, il Nagorno-Karabakh è governato de facto da un’entità autonoma a maggioranza armena sin dal 1994. Il presidente azero İlham Əliyev è dunque determinato a far sì che il diritto internazionale venga rispettato e il Nagorno-Karabakh ritorni sotto l’egida azera. Al contrario, Pashinyan punta a mantenere lo status quo, facendo leva sulla composizione etnica della regione e l’idea di autodeterminazione dei popoli.
Dall’inizio del conflitto, l’Azerbaigian ha dichiarato che circa una cinquantina di civili sono morti a causa dei bombardamenti armeni, tra cui quelli sulla seconda città azera Ganja. Per quanto riguarda invece il numero di militari morti, l’Armenia ne ha dichiarati quasi cinquecento mentre i dati dell’Azerbaigian non sono stati resi pubblici
La comunicazione social
Il primo elemento che risalta è sicuramente quello della narrazione unica, senza contraddittorio né obiezioni. Così come avviene nella politica italiana, ma anche in certe trasmissioni e telegiornali, ognuno può esprimere la propria opinione senza timore di una replica audace. Sia il Presidente Azero che il Primo Ministro armeno sono infatti impegnati in una tweetstorm a distanza che eguaglia quelle di Donald Trump.
La strategia dell’Azerbaigian è quella di dipingere gli Armeni come invasori della madrepatria. Il popolo armeno nella sua interezza viene descritto come terrorista, desideroso di impedire l’integrità territoriale azera. La strategia mediatica messa in atto è certamente offensiva e fa pensare che forse sia l’Azerbaigian ad avere il maggior interesse in questa guerra. La vittoria infatti comporterebbe un’acquisizione territoriale notevole. Tuttavia, la posizione dell’Azerbaigian non fa molta notizia sulla stampa internazionale, fatta eccezione per quella di lingua turca, a causa della stretta alleanza che intercorre tra Turchia e Azerbaigian.
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Allo stesso modo, l’Armenia accusa l’Azerbaigian, assumendo un atteggiamento quasi vittimistico e certamente meno aggressivo. I post infatti sono spesso in ricordo del genocidio armeno e prospettano la possibilità di un nuovo evento simile nel caso di vittoria azera. Inoltre, i social armeni spingono per la fine delle ostilità e per un ritorno dello status quo ante, dimenticando che il diritto internazionale riconosce il Nagorno-Karabakh come territorio azero. A differenza della controparte, le autorità armene si sono anche prodigate per diffondere la propria posizione sui media internazionali come «CNN», «La Repubblica», «France24» e molti altri. Se proprio si dovesse determinare lo schieramento della stampa internazionale, sarebbe certamente più a favore dell’Armenia. Questo è dovuto anche alla rigidità e alla chiusura di tipo dittatoriale del regime azero che, tra le altre cose, ha anche impedito l’accesso a internet in tutto il Paese.
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