Il colonialismo italiano non fu certo di minor impatto rispetto agli altri paesi europei, anche se per importanza non raggiunse mai Francia, Gran Bretagna o Germania. La sua costruzione ideologica avvenne per forza di cose tardivamente dato che l’unità nazionale si raggiunse solamente nel 1861. Per aiutare la formazione di un’identità nazionale si decise di puntare i riflettori verso la politica estera, fomentando nella popolazione spiriti nazionalistici ed espansionistici. Il desiderio era di fare entrare l’Italia nel prestigioso club delle grandi nazioni mondiali. Inoltre, data la giovane età del paese, l’obiettivo era anche quello di creare uno strumento di consenso per poter distogliere l’attenzione dai problemi di politica interna.
Nel 1882 avvenne così l’acquisizione della baia di Assab, in Eritrea, attraverso la compagnia di navigazione Rubattino. Ma perché l’Italia sceglieva proprio il Corno d’Africa per cominciare la propria avventura coloniale? La risposta è molto semplice. Perché gli altri paesi europei si erano spartiti tutto il continente tranne quella zona. Lì erano presenti degli Stati ben organizzati e con eserciti di tutto rispetto: conquistarli non sarebbe stata certo una passeggiata. Tuttavia gli italiani ignorarono qualsiasi tipo di avvertimento e decisero ugualmente di espandersi, occupando Massaua. Da qui il progetto era di conquistare l’intero Corno d’Africa partendo da Eritrea e Somalia.
La sottovalutazione dell’impresa portò nel 1887 all’eccidio di Dogali. In questa località avvenne il massacro di 540 italiani, i quali erano stati circondati da un esercito di 8000 eritrei. Questo tragico episodio fu causato dal pensiero razzista – che induceva a considerare gli eritrei come buoni a nulla – e dalla scarsa conoscenza geografica del territorio. L’esercito italiano inoltre era totalmente inconsapevole delle tecniche militari usate dal nemico. Nonostante questa disfatta, l’espansione continuò e si arrivò a controllare una buona parte del territorio eritreo e somalo. Queste aree vennero riconosciute dall’imperatore d’Etiopia Menelik tramite la stipulazione nel 1889 del famoso Trattato di Uccialli, il quale regolava i rapporti tra l’impero etiopico e l’Italia.
Il trattato, e in particolare l’articolo 17, fu presto oggetto di discussione tra i due paesi. Secondo l’Italia infatti sostanzialmente l’Etiopia diventava un protettorato italiano. Di tutt’altro avviso invece era Menelik, che contestò, a ragione, la malafede italiana nella stipulazione degli accordi. Le controversie portarono allo scontro vero e proprio. La guerra abissina venne decisa nel 1896 ad Adua con la totale sconfitta dell’esercito italiano e il ritiro momentaneo da ogni progetto di acquisizione di ulteriori territori. L’onta di Adua restò impressa nella mente del popolo italiano per decine di anni a tal punto che la voglia di rivalsa venne strumentalizzata magistralmente dalla dittatura fascista per giustificare l’aggressione del 1935 all’Etiopia.
Passati quindici anni, l’Italia tornò ad affacciarsi sul continente nero puntando, questa volta, ad un paese molto più vicino. Il desiderio era conquistare la Libia, che faceva parte dell’impero ottomano ed era divisa in due province: Tripolitania e Cirenaica. Le motivazioni che spinsero ad una nuova guerra di conquista furono geopolitiche e di sicurezza ma c’era anche una gran voglia di superare il dramma di Adua. Per evitare altre possibili disfatte, nel 1911 Giolitti inviò centomila soldati in Libia. La guerra fu un trionfo per gli italiani e nel 1912 si arrivò alla Pace di Losanna che pose fine alle ostilità formali con l’impero ottomano. Tuttavia la Libia stava attraversando un periodo di forte crisi politica ed economica, il malgoverno era ampiamente diffuso e le diseguaglianze sociali dilagavano. La Guerra italo-turca fece saltare il tappo libico e tutte le storture del paese esplosero improvvisamente. Il malcontento portò a rivolte e a resistenze che durarono per diversi anni. L’Italia dunque si ritrovò a dover fronteggiare una situazione pericolosa e poco prevedibile in un paese che pensava l’avrebbe accolta a braccia aperte.
La repressione italiana fu violenta, così come la resistenza libica. Durante la Prima guerra mondiale il controllo italiano si limitò solamente alle zone costiere, mentre il resto del territorio venne riconquistato dai rivoltosi. Le tribù presero il comando di queste zone dove sorsero governi autonomi come la Repubblica di Tripolitania. Ma nel 1922 in Italia ci fu un importante cambiamento con la presa del potere da parte del fascismo. Mussolini intraprese quasi subito una campagna per schiacciare ogni forma di opposizione al dominio italiano. I leader libici non riuscirono a fare fronte comune, così uno alla volta vennero sconfitti o mandati in esilio. In Cirenaica vennero creati campi di concentramento apposta per la popolazione ostile e inoltre, per domare le ultime resistenze, non ci furono scrupoli ad utilizzare gas proibiti dalla Convenzione di Ginevra. Nel 1931 il fascismo aveva ormai nelle sue mani l’intero territorio libico.
L’attenzione per l’Etiopia continuò anche dopo la disfatta di Adua e crebbe nel periodo fascista. Era infatti l’unico paese africano non ancora colonizzato. Ma nel 1923 era diventato membro della Società delle Nazioni e quindi non era da considerare come uno stato di poco conto o facilmente soggiogabile. L’avventura etiopica fu per Mussolini un metodo per distogliere l’attenzione del popolo dalla situazione interna italiana ma anche uno strumento per autoglorificarsi. I motivi dell’aggressione quindi furono di politica interna, come la crisi economica, malcontento popolare, disoccupazione e mancanza di luoghi dove incanalare l’emigrazione. Ma anche di politica estera visto il carattere imperialista dell’ideologia fascista volto a ricreare l’antico impero romano. Quindi alla base dell’impresa stavano manifestazione di potenza e ricerca di consenso interno.
L’interesse per la conquista dell’Etiopia da parte del fascismo prese forma già nel 1932 quando l’ambasciatore Guariglia scrisse una relazione in cui si sosteneva che la politica di amicizia era ormai fallita e che una possibile espansione sarebbe potuta avvenire facilmente se Francia e Gran Bretagna non fossero intervenute. Un’altra relazione fu stesa da De Bono, all’epoca ministro delle colonie, che visitando l’Eritrea il 22 febbraio 1932 aveva visto l’Etiopia pericolosa militarmente per le colonie italiane nel Corno d’Africa. Nel 1933-1934 le operazioni non potevano però essere avviate perché in Europa Mussolini non aveva ottenuto la sicurezza necessaria che lo potesse far agire impunemente.
Alla fine del 1934 ormai il duce si decise ad entrare in azione, anche perché le tensioni tra Italia e Etiopia erano cresciute, e predispose i preparativi. Secondo lui il momento era propizio visto che in Europa la situazione si era tranquillizzata e per almeno due o tre anni le cose non sarebbero cambiate. Tuttavia per evitare eventuali problemi, la conquista sarebbe dovuta essere rapida e totale. Il 6 gennaio 1935 vennero firmati gli accordi tra Mussolini e Laval, il ministro degli esteri francese. Questi patti rinvigorivano l’alleanza italo-francese in funzione antitedesca ma, sotto agli accordi formali, il governo francese garantiva il non intervento nel caso in cui l’Italia avesse attaccato l’Etiopia. Ora l’unico problema era la Gran Bretagna. Ma Il 10-11 settembre del 1935, durante una sessione della Società delle Nazioni, Laval e il suo corrispettivo inglese Hoare si incontrarono ed esclusero il blocco navale, la chiusura del canale di Suez e interventi militari in caso di invasione dell’Etiopia da parte italiana. Vennero stabilite solamente sanzioni economiche e questo perché la Gran Bretagna temeva che, intervenendo duramente, l’Italia si sarebbe avvicinata alla Germania di Hitler. Quindi il duce ebbe il via libera per iniziare a progettare le operazioni.
Il 2 ottobre 1935 venne dichiarata guerra all’Etiopia e il giorno successivo avvenne l’invasione. La Società delle Nazioni dal 7 ottobre decise di applicare delle sanzioni economiche poco rilevanti e facilmente aggirabili. L’esito del conflitto era scontato, l’Italia era ben armata e utilizzò tutte le proprie risorse per imporsi in modo rapido, arrivando perfino a lanciare gas tossici come l’iprite sugli avversari. Tuttavia il negus Hailé Selassié, l’imperatore d’Etiopia, non fu un nemico facile da sottomettere e non scese mai a compromessi, confidando in una sconfitta italiana sul campo di battaglia come era già avvenuto nel secolo precedente. Ma questa volta le cose non andarono così. Mussolini impiegò un esercito immenso, spropositato per abbattere gli etiopici e lavare l’onta di Adua. In questo modo voleva dimostrare a tutti la differenza tra l’Italia postunitaria e quella fascista.
La guerra si concluse il 9 maggio del 1936 quando, con la conquista della capitale Addis Abeba, venne proclamata la nascita dell’Impero italiano e re Vittorio Emanuele III di Savoia ne divenne imperatore. La caratteristica principale di questo colonialismo fascista fu senz’altro il razzismo. Appena dopo la conquista si crearono divisioni tra etnie e razze, si stabilirono delle forti gerarchie e anche sul piano quotidiano avvenne la separazione fisica in quartieri. Inoltre la diversificazione salariale era netta e anche nei luoghi pubblici gli etiopici non potevano farsi trovare in compagnia di italiani. Tutto ciò portò ad una legislazione razzista con l’introduzione nel 19 aprile del 1937 della norma secondo cui venivano sanzionati i rapporti di indole coniugale tra italiani e sudditi etiopici. Ogni relazione con gli indigeni veniva punita.
L’impero coloniale italiano costituito da Etiopia, Eritrea, Somalia e Libia durò però pochi anni. Nel 1940 l’Italia entrò infatti nella Seconda guerra mondiale al fianco della Germania e, dopo temporanee vittorie in Africa, trovò tutti i suoi territori occupati dagli Alleati. Quindi le colonie del bel paese non subirono una decolonizzazione frutto di continue lotte interne che portarono a guerre civili o a battaglie sanguinose. Accadde invece una decolonizzazione imposta dall’alto. Quelli che fino a poco tempo prima erano i coloni si ritrovarono in poco tempo ad essere dei profughi. Dal 1942 infatti il problema divenne quello di rimpatriare i civili italiani attraverso viaggi interminabili su piroscafi che circumnavigavano l’Africa, dato il divieto di passare per Suez. Una volta ritornati in Italia poi la loro odissea non era terminata. Erano smistati in diversi centri di raccolta profughi dove regnava la criminalità più assoluta. Inoltre erano visti dalla popolazione soltanto come un peso per il paese e frutto di un passato fascista da dimenticare in fretta.
Un ritorno in Africa comunque ci fu nel 1950, quando le Nazioni Unite stabilirono l’Amministrazione Fiduciaria Italiana della Somalia (AFIS). In pratica il vecchio paese colonizzatore (l’Italia) doveva, entro un periodo di 10 anni, far sì che la Somalia raggiungesse la piena indipendenza. L’AFIS riutilizzò però gli strumenti e il personale tipico dell’esperienza coloniale, continuando a favorire e ad incrementare il potere dei clan presenti. Così nel 1960 la neo indipendente Somalia ereditò tutte le debolezze del passato e le divisioni finirono per essere ampliate piuttosto che ridotte. Il fallimento italiano si ripercosse quasi subito sul paese. Nel 1969 ci fu, dopo anni di intensa crisi, il colpo di stato da parte di Siad Barre e nel 1991 si arrivò al collasso con una atroce guerra civile che tuttora è in atto.
Gli effetti del colonialismo italiano, da quello che abbiamo visto, ed è solo una piccola parte, non possono quindi essere considerati affatto come buoni (esiste un colonialismo buono?). Per molto tempo però è rimasto in vita, e in certi casi ancora oggi, lo stereotipo di un colonialismo non aggressivo e invadente, che ha portato agli indigeni miglioramenti sul piano politico e sulle condizioni di vita. Le motivazioni che stanno alla base di questo falso mito sono soprattutto il fatto che l’Italia abbia subito una decolonizzazione decisa dall’alto, senza traumi, conflitti o lotte. Non ci fu un vero confronto tra colonizzatori e colonizzati. In secondo luogo ha inciso la rimozione storica da parte del popolo italiano, così quel poco che veniva e viene ricordato è solamente il lato positivo. Le stragi, il razzismo, i diritti violati, le disuguaglianze e ogni aspetto negativo sono taciuti, mentre invece le costruzioni di città, le opere pubbliche e la creazione di ospedali non mancano mai nella memoria italiana.
Emblema degli strascichi del colonialismo non superato in Italia è l’episodio della Stele di Axum, un obelisco trafugato dai soldati fascisti durante la Guerra d’Etiopia e portato a Roma. Questo era molto antico e apparteneva alla città di Axum, antica capitale dell’impero etiopico. L’obiettivo era quello di paragonare l’impero italiano a quello romano, famoso per aver portato a Roma molti obelischi. Dopo la disfatta della Seconda guerra mondiale e la fine della dittatura, l’obelisco divenne ingombrante e scomodo per il suo collegamento con il colonialismo. Una volta che l’Etiopia riottenne l’indipendenza, ci sarebbe dovuta essere la restituzione del prezioso bottino ma, nonostante gli accordi, non si arrivò ad una conclusione. Passarono gli anni ma ogni volta che si intravedeva la fine della vicenda si presentava puntualmente qualche problema. Si arrivò così nel 2005 alla decisione definitiva di riportare l’obelisco al suo luogo natale. Non mancarono però numerose polemiche italiane. In molti si schierarono contro la restituzione sostenendo che ormai il possesso apparteneva solamente all’Italia. Alla fine il 4 settembre 2008 ci fu la nuova erezione dell’obelisco ad Axum ma le rivendicazioni italiane non terminarono, sintomo che gli aspetti del colonialismo non sono stati del tutto superati.
FONTI
Wolfgang Reinhard, Storia del colonialismo, Einaudi 2002
Bernard Droz, Storia della decolonizzazione nel XX secolo, Mondadori 2010
Giorgio Candeloro, Storia dell’Italia moderna. Il fascismo e le sue guerre, Feltrinelli 2014
Emanuele Ertola, In terra d’africa. Gli italiani che colonizzarono l’impero, Laterza 2017
Antonio M. Morone, L’ultima colonia. Come l’Italia è tornata in Africa, Laterza 2011