Oggigiorno si parla tanto di contraccezione e di prevenzione, ma, ogni volta che compriamo un contraccettivo o paghiamo una visita ginecologica privata, ci chiediamo mai se sia davvero giusto spendere soldi per questi servizi?
Se l’utilizzo di un contraccettivo è a tal punto fondamentale per non rischiare di incorrere in gravidanze indesiderate o malattie sessualmente trasmissibili, dovrebbe quantomeno essere un servizio gratuito. Il costo della contraccezione, che in Italia è tra i più alti in assoluto, per molti è ancora inaccessibile (la pillola costa dai 15 ai 20 euro al mese, i preservativi circa 5 euro a scatola, senza contare le visite di controllo), e a tutto questo si aggiungono le barriere culturali.
La legge 194, entrata in vigore il 22 maggio 1978 dopo anni di battaglie femministe, recita nel suo primo articolo: Lo Stato garantisce il diritto alla procreazione cosciente e responsabile, riconosce il valore sociale della maternità e tutela la vita umana dal suo inizio. Sembrerebbe quindi compito dello Stato aiutare le donne a scegliere il metodo contraccettivo più adatto per prevenire eventuali interruzioni di gravidanza – che sono ancora numerose tra le giovanissime – e le conseguenze a livello psicologico-emotivo e fisico che l’aborto comporta.
Al fine di rispettare pienamente quanto previsto dalla legge, dalla fine del 2017 ad oggi diverse regioni italiane hanno approvato un importante provvedimento, già da tempo richiesto dai ginecologi italiani, che garantisce la distribuzione di anticoncezionali gratuiti presso i consultori Asl della regione interessata a tutti gli Under 24 che siano residenti in uno dei comuni della regione e che siano iscritti al servizio sanitario nazionale. Possono essere richiesti contraccettivi ormonali (come le pillole, anelli vaginali e cerotti a rilascio ormonale), contraccettivi d’emergenza (come la pillola del giorno dopo), impianti sottocutanei, dispositivi intrauterini (spirali) e preservativi femminili e maschili. Sono gratuiti anche la visita per la contraccezione e l’inserimento e la rimozione dei dispositivi intrauterini e degli impianti sottocutanei.
L’Unione Donne Italiane sottolinea l’importanza di far sì che questo provvedimento sia noto a tutti:
“Non abbiamo dimenticato cosa succedeva quarant’anni fa, quando l’aborto era un reato e i contraccettivi sono stati illegali fino al 1971. Siamo andate nelle piazze, ma bisogna andare anche oltre.”
L’Emilia Romagna è stata la prima regione ad approvare il provvedimento, che è operativo da gennaio 2018. Possono usufruire di questo servizio “donne e uomini con meno di 26 anni e donne di età compresa tra i 26 e i 45 anni con esenzione di disoccupazione o lavoratrici colpite dalla crisi, nei 24 mesi successivi a una interruzione volontaria di gravidanza e nei 12 mesi successivi al parto”, così riporta il sito dei Consultori Famigliari.
Il responsabile dei consultori di Bologna Claudio Veronesi è fiducioso:
“Finora la pillola viene distribuita in consultorio, dopo la visita ginecologica, ma tra qualche mese speriamo che le ragazze possano ritirarla anche nelle farmacie ospedaliere.” Aggiunge: “In Italia purtroppo siamo ancora molto indietro, e forse non è un caso che in Francia, Paese con accesso alla contraccezione doppio rispetto a noi, la natalità sia anche più alta.”
Il provvedimento ha riscosso molto successo: ad un mese dalla sua approvazione, al Poliambulatorio Roncati di Bologna, dove si trova lo spazio giovani della città, 103 donne, soprattutto italiane tra i 14 e i 19 anni, hanno fatto richiesta di contraccettivi.
Il 3 luglio anche il Consiglio regionale del Piemonte ha approvato il provvedimento. Anche se la Diocesi di Torino ha espresso sin da subito un parere contrario, scrivendo nel suo settimanale:
“I ragazzi hanno bisogno di ben altro per formarsi a gestire la loro sessualità, considerando quanto le scelte che si fanno negli anni giovanili sono decisive per il resto dell’esistenza.”
La Lombardia, terza e ultima regione, ha approvato il provvedimento il 31 luglio. Il documento è stato presentato dalla consigliera del Partito Democratico Pola Bocci, che afferma:
“È responsabilità delle istituzioni fare di tutto sia per evitare le conseguenze tragiche di una malattia devastante come l’HIV, sia per rendere i giovani più consapevoli delle proprie scelte che non devono essere dettate dalla condizione economica.”
Ma anche in Lombardia il problema sta a monte: a Milano quasi la metà sono consultori confessionali, quindi di ispirazione religiosa, che promuovono solo metodi naturali di dubbia efficacia e non garantiscono l’applicazione della legge 194: questo perché la Regione Lombardia ha approvato una determina regionale che prevede per i consultori regionali accreditati la possibilità di non attenersi alla 194.
Gli ostacoli culturali sono molteplici, si fatica tanto ad accettare la gratuità e il facile accesso dei contraccettivi quanto a concepire l’idea che si possa vivere la propria sessualità senza il timore di una gravidanza. Anche per questo, non solo per le assai note motivazioni economiche, molte regioni non hanno ancora provveduto ad approvare la legge.
Questo provvedimento rappresenta un passo importante perché riconosce la sessualità libera ed epurata da pregiudizi, è bene non dimenticare che i nostri genitori hanno lottato tanto anche per questo.
Detto ciò, fai un passo anche tu verso il cambiamento, non essere pigro e recati al consultorio più vicino, è un tuo diritto.