Un coraggioso esperimento, un documentario di grande vitalità e un racconto in presa diretta di una storia realmente accaduta, tra il 14 e il 18 novembre 2013, sulla strada da Milano e Stoccolma. “Io sto con la sposa” è stato realizzato anche grazie ai centomila euro raccolti tramite crowdfunding ed è stato portato concorso alla settantunesima Mostra del Cinema del Festival di Venezia, nella sezione Orizzonti-Fuori. Si aggiudica tre dei premi collaterali che annualmente vengono assegnati durante il Festival: il Premio FEDIC, il premio HRNs – Human Rights Nights Award per il Cinema dei Diritti Umani e il Premio di critica sociale Sorriso diverso Venezia 2014.
É stato definito un docufilm, forse unico nel suo genere.
I registi Antonio Augugliaro, Khaled Soliman e Gabriele Del Grande incontrano a Milano cinque connazionali sbarcati a Lampedusa in fuga dalla guerra; decidono così di aiutarli a proseguire il loro viaggio clandestino verso la Svezia, unico paese europeo che, dal settembre 2013, concede ai siriani la possibilità di soggiornare entro i suoi confini nel momento in cui essi stessi ne facciano richiesta.
Pur di aiutare dei profughi compiono un vero e proprio gesto da “fuorilegge”: rischiano non solo un mare di debiti ma anche quindici anni di carcere.
Per evitare di essere arrestati come contrabbandieri mettono in scena un finto matrimonio, coinvolgendo un’amica palestinese che si travestirà da sposa e una decina di amici tra siriani e italiani che si travestiranno da invitati. In questo modo non attireranno l’attenzione di nessun vigilante e, così mascherati, attraverseranno mezza Europa in un viaggio di quattro giorni e tremila chilometri. Un cammino carico di emozioni, un viaggio che porta con sé la speranza della libertà e che, oltre a raccontare le storie e i sogni dei cinque in fuga e dei loro speciali contrabbandieri, mostra un’Europa sconosciuta, un’Europa transnazionale, asettica, solidale e goliardica che riesce a farsi beffe delle leggi e dei controlli.
Ѐ chiaramente un film schierato, impudente e per certi versi radicale. Nonostante questo, al di là della curiosità o della sorpresa che può generare, nasconde al suo interno una forza dirompente, sia simbolica sia anarchica, che non è solo sfacciataggine ma è voglia di documentare il paradosso contemporaneo di chi, nel momento in cui decide di abbandonare il luogo in cui è nato e cresciuto, diventa solo un numero tra tanti. Ѐ anche voglia di trasmettere un lungo messaggio di speranza e di libertà, simboleggiata dall’abito bianco nuziale, indossato come un lasciapassare durante tutto il film.
Un’operazione cinematografica interessante e attuale, un’attività di osservazione concepita in modo diretto e immersivo in cui gli autori si sono messi in gioco, non solo come registi ma ancor prima come uomini.
In virtù di una semplicità non mediata, di una trasparenza che mostra, senza troppi ornamenti, una possibile e necessaria direzione al panorama cinematografico italiano, “Io sto con la sposa” può considerarsi un film importante. Non solo è stato realizzato fuori da qualsiasi criterio produttivo, politico, parrocchiale, ma anche perché trasforma il racconto diretto, doloroso, vissuto in prima persona, in un momento di cinema politico tangibile e fuori da qualsiasi struttura ideologica.