Tra le varie manifestazioni definite ereticali sviluppatesi sin da XI secolo, in cui veniva contestato lo stile di vita religioso e il potere della chiesa, vi furono varie forme di dissenso all’ortodossia e ai dogmi cattolici che mettevano in conflitto il dualismo tra materia e spirito e tra chiesa temporale e spirituale.
Movimenti che si diffusero nell’Italia centro-settentrionale e nel sud della Francia, come quelli dei Valdesi, dei Catari, degli Albigesi e dei Dolciniani, oggetto di sanguinose repressioni, diedero origine alle prime crociate contro l’eresia e alla nascita dell’Inquisizione. Tra il XII e XIII secolo proliferarono i fenomeni più consistenti di eterodossia contro il conformismo cristiano, ispirati ad un ritorno al messaggio evangelico e a forme di ascesi come il pauperismo, visto come scelta di rinuncia alla ricchezza materiale, sull’esempio di Gesù Cristo.
È in questo contesto di gruppi e movimenti ereticali del basso medioevo che si inserisce la vicenda di Guglielma di Milano e dei figli dello Spirito santo. Le fonti storiche fanno riferimento al manoscritto A 227 inf. della biblioteca Ambrosiana relativo ai processi inquisitoriali contro i devoti e le devote di Santa Guglielma. Si tratta di un ristretto gruppo di uomini e donne milanesi di varia estrazione sociale messi sotto accusa per aver alimentato il culto di Guglielma come incarnazione femminile dello Spirito santo e di un Cristo donna.
Guglielma, detta anche la Boema per le sue presunte origini boeme, giunse a Milano nel 1260, si stabilì presso l’Abbazia di Chiaravalle dove risiedeva come oblata ed ebbe una notevole fama come guaritrice che crebbe fino a dar vita al movimento religioso dei gugliemiti. Alla sua morte, avvenuta il 24 agosto del 1281 o 1282, i monaci ne proposero la canonizzazione e la seppellirono nell’abbazia dedicandole un altare. Per circa vent’anni venne venerata come santa con delle pratiche devozionali che attirarono sospetti e accuse di eresia da parte dell’inquisizione. Dopo un periodo di minacce, convocazioni di alcuni canonici coinvolti nella setta e conseguenti abiure, si aprì il processo nel luglio del 1300 nello stesso giorno in cui veniva messo al rogo l’eretico parmense Gherardo Segarelli. I frati predicatori inquisitori chiamarono a processo sia laici sia religiosi, di cui alcuni già relapsi, cioè ricaduti nell’eresia dopo aver abiurato una prima volta. Si trattava di una posizione alquanto difficile per i relapsi: abiurando si salvavano dal rogo ma veniva imposta loro la delazione perpetua e l’obbligo di denuncia degli eretici, rendendoli di fatto le spie degli inquisitori. Gli imputati principali del processo furono il laico e teologo Andrea Saramita con la sua famiglia, e la monaca dell’ordine delle umiliate di Biassono Maifreda da Pirovano, con tutto il suo mistico entourage composto anche di molte sorelle e di illustri personaggi di noti casati milanesi. Imputata di rilievo e chiamata alla deposizione inquisitoriale, Maifreda, cugina del nobile Matteo Visconti, era considerata la discepola di Guglielma e la sua diretta erede spirituale oltre ad essere il punto di riferimento di tutti i guglielmiti.
Durante quel processo ai devoti, la santità di Guglielma si trasforma in eresia, la storia viene snaturata e deformata in un’infame ottica orgiastica fatta di incontri notturni in cui uomini e donne si incontrano e si accoppiano in modo promiscuo. Nei quaderni degli inquisitori, le imbreviature certificate dal notaio Beltramo Salvagno, vengono inoltre elencati i capi di accusa costruiti ad arte che emergono dagli interrogatori e dalle confessioni estorte nella chiesa di Sant’Eustorgio a Milano. Un esito che, pur essendo diretto ai devoti, mira a cancellare ogni traccia della santità di Guglielma e del suo culto. Una devozione così sentita e testimoniata anche attraverso l’iconografia che la vedeva ritratta in alcune chiese milanesi sotto le sembianze di Santa Caterina.
Col processo viene distrutta l’immagine di una santa, identificata come lo spirito santo al femminile e segno di un progetto Cristomimetico che in lei vedeva realizzarsi il rinnovamento al femminile della donna-Cristo. È sintomatico quindi che insieme alla condanna al rogo dei principali imputati, alla pena delle croci gialle da portare sugli abiti, inflitte ai devoti minori, vengano anche cancellate tutte le testimonianze della presenza di Guglielma. Gli zelanti frati inquisitori, infatti, si preoccuparono di far eseguire la distruzione delle sue reliquie, le ossa bruciate e disperse, i simboli e gli altari distrutti, attuando una sistematica damnatio memoriae, la condanna della memoria.
Di Guglielma, infatti, non rimane più alcuna traccia, se non le citazioni e i racconti indiretti dei devoti in quel documento inquisitoriale ritrovato secoli dopo, per caso, nella bottega di un droghiere da un monaco certosino e passato poi a un erudito la cui biblioteca e i manoscritti finirono in lascito all’Ambrosiana. Da quei quaderni emerge il piano degli inquisitori, ai quali, più che indagare sulla presunta santità di Guglielma, interessava cancellare l’eresia costruita dai devoti sulla sua figura.
Del resto anche la stessa Guglielma – dotata di poteri taumaturgici e postasi come modello di carità – non volle mai proiettarsi in una dimensione sovrannaturale di santità. Essa, infatti, lo dichiarò espressamente a una devota con l’affermazione “io non sono Dio”, respingendo anche la sua identificazione con lo Spirito santo. Ma proprio questo rifiuto e questa sua manifesta umanità rappresentarono simbolicamente per i suoi seguici la conferma della sua santità. Quei devoti si spinsero dopo la sua morte a partecipare alla celebrazione di messe in suo ricordo, con suor Maifreda officiante al rito, in cui dispensava le comunioni di Guglielma-Cristo ai nuovi apostoli che si professavano figli dello Spirito santo. Tale eresia era decisamente inaccettabile per la chiesa cattolica di quei tempi e era da estirpare in tutti i modi.
Il mito di Guglielma, ripreso in anni recenti, oltre a essere stato oggetto di diversi studi storici e di libri di scrittrici femministe come Patrizia Costa o Luisa Muraro, si è arricchito del lavoro di una studiosa storica come Marina Benedetti che nel suo saggio, “Io non sono Dio“, ha fedelmente ricostruito gli avvenimenti con informazioni e chiarificazioni puntuali dettati esclusivamente dall’analisi delle fonti storiche.
Va inoltre menzionata, a titolo non storico e documentale ma solo informativo la presenza di alcuni siti web, la Chiesa cattolica-guglielmita e il Matriarcato d’occidente che si fonda sul mito di Guglielma, con a capo la discussa figura della papessa Kyara van Ellinkhuizen Müller. Autonominatasi seconda discepola di Guglielma dopo Maifreda, In una sua intervista del 2012, la papessa ha dichiarato di aver celebrato la sua prima messa pubblica, ospite di una chiesa valdese di Roma e di voler riprendere la tradizione del matriarcato come posizione femminile d’avanguardia per il sacerdozio alle donne.
FONTI:
Grado Giovanni Merlo, Eretici ed eresie medievali, il Mulino, Bologna 2011.
Marina Benedetti, Io non sono Dio. Guglielma di Milano e i Figli dello Spirito santo, Ed. Biblioteca Francescana, Milano, 2004.
Laura Muraro, Guglielma e Maifreda. Storia di un’eresia femminista, La Tartaruga, Milano, 2003.