Viktor Orbán è l’attuale primo ministro dell’Ungheria a capo di Fidesz, un partito di destra che nelle ultime elezioni ha ottenuto oltre il 50% dei voti.
Orban nasce nel 1963 a Székesfehévár e, all’età di soli 14 anni, inizia l’attività politica come segretario dell’organizzazione giovanile comunista. Le sue idee politiche cambiano radicalmente, però, durante il servizio militare, così che successivamente, nel 1988, fonda il partito Fidesz dai connotati fortemente nazionalisti e anti-comunisti. Nel 1994 Orbán diventa il leader della destra ungherese e nel 1998 avviene la svolta quando vince le elezioni. Subisce solo una sconfitta nel 2002 ad opera del partito socialista. La disfatta permette però ad Orbán di riorganizzarsi per compiere una rapida scalata al potere a cui giunge nel 2010. Dal 2010 inizia una lunga serie di successi: in otto anni il suo partito vince le elezioni per ben tre volte, mantenendo salda la sua posizione fino ad oggi.
Il segreto del suo successo si basa su alcuni solidi principi, che il primo ministro difende tenacemente: primo tra tutti è l’opposizione all’immigrazione. Orbán si è fermamente opposto contro il volere di Bruxelles in materia di migranti; alla richiesta di ricollocare alcuni immigrati di fede musulmana a Budapest il primo ministro non ha voluto sentire ragioni. Già dal 2015 Orbán ha chiuso i confini verso la Serbia e la Romania, per bloccare l’arrivo di persone provenienti dalla Siria e dall’Afghanistan, che utilizzavano la Grecia come ponte di passaggio. A questo scopo ha deciso di innalzare una barriera per impedire l’ingresso dei migranti. L’altro pilastro sulla quale poggia la politica di Orbán è il tema della sicurezza.
Il grande avversario di Orban è Georege Soros, un magnate statunitense favorevole all’immigrazione e dunque simpatizzante con le idee di liberalizzazione e globalizzazione dei mercati. Nel 2017 i due rivali sono stati coinvolti in un duro scontro a seguito della decisione di Orbán di chiudere la Central European University finanziata proprio da Soros. La chiusura dell’università di Budapest è stata giustificata da Orbán con l’accusa rivolta a Soros di finanziare innumerevoli organizzazioni di lobby e di mantenere una fitta rete portavoce delle sue idee in territorio ungherese. A essere prese di mira sono state anche le ong, organizzazioni finanziate da Soros.
La linea eccessivamente dura e autoritaria del primo ministro è stata avversata da critici in Ungheria e dall’Unione europea: l’accusa è quella di rimuovere le istituzioni democratiche.
Orbán promuove con tenacia il tema della sovranità nazionale e tende a scoraggiare o allontanare ogni iniziativa che provenga dall’estero. Per questo motivo il leader sta estendendo il suo controllo sullo stato, cercando di controllare e accentrare tutti i poteri e i mezzi di informazione. Orbán si è già avvalso di modifiche alla Costituzione per poter conquistare mezzi di informazione. Al 2010 risale l’inaugurazione del Consiglio per i media: l’editoria pubblica è stata da quel momento trasformata in uno strumento di propaganda.
Orbán ha poi anche introdotto una tassa con l’intento di svantaggiare Rtl Klub, l’unico canale televisivo rimasto non al servizio del governo, di proprietà del gruppo tedesco Bertelsmann. Successivamente tutti i media che si sono dimostrati in disaccordo con il governo sono stati costretti alla chiusura, come il quotidiano storico Magyar Nemzet e la radio Lanchid.
Altre norme hanno poi impedito ai neolaureati ungheresi di poter lavorare all’estero costringendoli a rimanere in patria per un periodo dai 3 ai 10 anni. Un’altra norma che interferisce fortemente nella vita dei cittadini è anche quella che interessa le coppie non sposate, oppure senza figli o omosessuali: a tutte queste persone non vengono riconosciuti gli stessi diritti delle coppie eterosessuali.
L’idea leghista della flat tax al 15% non è originale: deriva anch’essa da Orbán ed è stata introdotta dal 2011. Questo provvedimento favorisce però i ceti medio-alti e ha creato un’ampia fascia di sottoccupati in Ungheria. Questa situazione ha fatto sì che dal 2010 più di 500.000 ungheresi sotto i trent’anni abbiano lasciato il loro paese, che nel frattempo stenta a crescere. Il Pil pro capite dell’Ungheria è inferiore a paesi come la Polonia, Slovacchia e Repubblica Ceca.
L’Ungheria è un paese dalla lunga storia e dalle grandi tradizioni, ma la situazione politica attuale è degna di molta attenzione per tutta l’Europa, non certo per essere emulata, ma, al contrario, per essere guardata con molta circospezione.
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