I cosiddetti “millennials” fanno parte della Generazione Y, ovvero i nati tra i primi anni Ottanta e il 2000. La necessità di dare un nome preciso a questa fascia di popolazione, è data dal fatto che tutti questi giovani –e giovanissimi,- sono nati e cresciuti in uno dei momenti storici che ha subìto cambiamenti più profondi, continui e velocissimi. Soprattutto, i millennials risultano importanti in quanto sono la prima generazione che è nata con la moderna tecnologia letteralmente sotto mano: dal cellulare (che è velocemente diventato smartphone), alla tv, al facilissimo accesso a internet che chiunque può avere al giorno d’oggi.
I millennials oggi hanno tra i 18 e 30 anni. Ricoprono dunque una fetta di mercato e popolazione molto vasta ed eterogenea, nonché globale. È inutile precisare quanto siano importanti questi consumatori per il grande mercato mondiale e delle singole nazioni, ma occorre sottolinearne il ruolo chiave anche nel mercato dell’arte e in ambito artistico.
I millennials fruiscono l’arte in modo diverso rispetto alle generazioni precedenti.
Tramite un sondaggio twitter si è notato che le nuove generazioni non visitano più i musei e non frequentano più le istituzioni artistiche di propria spontanea volontà. È sempre più raro vedere un museo pieno di giovani intenti ad ammirarne i capolavori, con calma, attenzione, e gli occhi che brillano. Sempre più spesso invece è facile imbattersi in scolaresche chiassose e agitate, ragazzi annoiati che trascinano i piedi e fanno passare lo sguardo da un’opera all’altra senza vederle davvero, e ragazzi che si fermano soltanto di fronte alle opere più popolari di quel museo, si scattano un selfie sorridendo di fronte alla tela, e se ne vanno, senza quasi degnare l’opera di uno sguardo che non sia quello filtrato dalla fotocamera dello smartphone.
Ovviamente non tutti i millennials hanno questo atteggiamento, le eccezioni ci sono, ma la generazione si muove in questo modo.
In media, i millennials spendono meno di 5 secondi di fronte ad un’opera. È un tempo irrisorio, durante il quale riescono a recepire a mala pena il soggetto e i colori dell’opera (o il materiale, in caso non si tratti di una pittura).
Questa velocità di fruizione dell’opera rispecchia esattamente la fruizione velocissima che i giovani fanno di qualsiasi altra immagine, tramite i social network. Soprattutto sulla piattaforma di Instragram, dove si scorrono centinaia di foto in pochi minuti e si dedica meno di un secondo di attenzione ad ognuna di loro. Ormai Instagram è diventato il social network più utilizzato, sorpassando anche Facebook, e ogni millennial ha almeno un account che usa quotidianamente. Inoltre, la maggior parte dei giovani utilizza il proprio account solo per guardare, o meglio spiare i post degli altri. Questo ha portato ad una modifica sostanziale riguardo il comportamento dei giovani: non prestano più di una frazione di secondo ad osservare un’immagine, passano subito a quella successivo, ‘scrollando’ la homepage di Instagram e il museo allo stesso modo. Si guarda –quasi mai si osserva,- un’opera per quella frazione di secondo e subito ci si annoia, si vuole dell’altro, qualcosa di diverso, “passiamo alla prossima immagine, sarà sicuramente più interessante, questa mi ha giù stancato, l’ho già vista”.
I millennials sono soltanto vittime di questo gorgo tecnologico che sta girando sempre più velocemente, anno dopo anno.
Le soluzioni a tutto questo ci sono. Sono difficili da mettere in pratica e da far capire ai più giovani, i quali sono convinti che visitare un museo non serva a molto, se tanto quelle stesse immagini le possono trovare in HD su Facebook o Instagram. E questo non è sbagliato, anzi ben venga che molti seguano account o fan pages dedicate al mondo dell’arte; ma questo atteggiamento deve necessariamente accostarsi ad una fruizione in prima persona, perché incorrere nella famosa Sindrome di Stendhal davanti ai pixel dello schermo di uno smartphone è impossibile e ridicolo.
Come si accennava prima, i millennials si recano sempre più raramente nei musei. La maggior parte dichiara di visitare un museo d’arte o una galleria meno di 4 volte l’anno e soltanto la percentuale più ridotta (5% su 40 opinioni) vi si reca più di una volta al mese.
I social network però, stanno anche avendo un ruolo leggermente positivo nello spingere i giovani a recarsi al museo. Questo riguarda principalmente i millennials più adulti, che oggi hanno tra i 25-30 anni. Anche questa fascia utilizza Instagram e Facebook, esattamente come i più giovani. Nel loro caso però, molti dichiarano di essere quasi spinti dai social network nel recarsi al museo. È nata infatti la moda di postare e caricare selfie con la propria opera preferita, e negli ultimi tempi ha spopolato la famosissima foto scattata dall’amico, dove ci si mostra di spalle, intenti a contemplate un quadro da vicino, da soli nella stasi del museo.
Molti milennials dichiarano che per loro è importante postare sui propri social network una foto dell’opera in questione o di sé stessi con tale opera, perché sentono il bisogno di mostrare a tutti quello che hanno appena vissuto.
Per quanto riguarda il mercato dell’arte, i giovani hanno un approccio nuovo anche in questo caso. Se prima la qualità di un’opera era data principalmente dal nome dell’autore, dalla sua storia, e si acquistava un pezzo perché si riteneva che potesse diventare di grande valore ed importanza storica negli anni successivi, oggi non è più così. I giovani hanno dei gusti molto forti, principalmente dettati dalle mode, e in secondo luogo, dal prezzo dell’opera: più è alto, più è alto il suo valore artistico.
Inoltre, anche in questo caso i social network hanno un ruolo importante. Scattare una foto del nuovo acquisto una volta a casa è ormai una prassi, e la cosa non cambia con un’opera d’arte. In questo modo sono gli stessi acquirenti, gli stessi millennials a determinare il valore di un artista: più questo è presente sui social, più sarà visto, più sarà apprezzato da altri giovani che si imbattono nelle sue opere tramite post di coetanei.
Il mercato lo sa bene, e c’è chi ha saputo sfruttarlo meglio di altri. L’hanno capito Matthia e Timo, i due fondatori di Wydr, l’app che mette a disposizione di tutti un mercato artistico su scala globale. Seguendo il principio di Tinder (mi piacevs. non mi piace), Wydr propone opere che il fruitore può acquistare direttamente tramite l’applicazione. In questo modo si viene facilmente in contatto con artisti che non si sarebbero mai incontrati altrimenti e si acquistano i loro pezzi in tutta sicurezza.