Fin dalla nascita della repubblica, nel 509 a.C., i romani avevano rifiutato l’ordine monarchico e il concetto di origine divina della regalità. La situazione cambiò nel I secolo a.C. quando si susseguirono una serie di guerre civili. I generali dell’esercito accumularono nelle loro mani un potere sempre maggiore che metteva a repentaglio la sopravvivenza politica dello stato romano. I soldati iniziarono a pronunciare giuramenti di lealtà personale ai loro capi. Si sviluppò così la tendenza a ritenere che la loro supremazia avesse un fondamento religioso.
Dopo la morte di Giulio Cesare nel 44 a.C., chiunque aspirasse al controllo di Roma cominciò a presentarsi come un eletto divino. In particolare Ottaviano, avversario di Marco Antonio per la successione, si fece chiamare “figlio del Divo Giulio“, rivendicando in questo modo le sue origini divine. Dopo aver trionfato sui nemici Ottaviano, nel 27 a.C., proclamò che il suo ruolo sarebbe stato quello di senatore, anche se primo fra tutti, restaurando così la repubblica. Ciononostante non rinunciò ad attribuirsi una posizione privilegiata nell’universo religioso romano. Infatti nel 12 a.C. assunse la carica di pontefice massimo, che gli venne attribuita dopo la morte di Lepido che ne era detentore. Ottenne quindi la guida della religione romana.
Il nuovo dominatore di Roma non poteva però essere divinizzato in vita perché ciò avrebbe significato l’instaurazione di una teocrazia. Tuttavia la soluzione ideale venne da Lucio Munazio Planco, un sostenitore di Marco Antonio che aveva disertato ai tempi della battaglia di Azio per supportare Ottaviano. Planco suggerì che si concedesse al successore di Cesare il nome di Augusto, un termine etimologicamente affine alla parola “auge” e che era utilizzato per riferirsi agli dei e alle loro prerogative. Così Ottaviano divenne Augusto. Gli vennero attribuite alcune qualità divine, senza però che fosse considerato propriamente un dio in vita. Infatti l’idea di una natura divina si impose definitivamente solo alla sua morte.
Il primo imperatore romano morì a quasi 77 anni, il 19 agosto del 14 d.C. a Nola. Il suo corpo fu portato a Roma a spalle dai notabili delle città situate lungo il cammino. Poi furono i cavalieri romani a incaricarsi di introdurre le spoglie di Augusto nella capitale. Quindi la salma venne trasferita al Campo Marzio, dove era stato costruito su suo ordine un mausoleo. La pira funeraria fu accesa da alcuni centurioni per volere del senato. Qui l’ex pretore Numerio Attico giurò di aver visto un’aquila uscire dal rogo per trasportare l’anima del defunto imperatore, facilitando con il suo racconto l’apoteosi di Augusto che venne decretata il 17 settembre. A Roma era nato un nuovo dio.
Ma se nella capitale la divinizzazione avvenne solo alla morte del Divo, nelle province dell’impero il processo era iniziato prima. Nell’attuale Turchia, all’epoca provincia d’Asia, Augusto fece erigere nella capitale Efeso un tempio dedicato al Divo Giulio (Cesare), dove i cittadini romani avrebbero dovuto svolgere le loro funzioni religiose. Quindi fece costruire un secondo tempio a Pergamo, dedicato alla propria persona, in cui poteva assistere ai riti chi non godeva della cittadinanza romana. Augusto stabilì dunque uno schema per la venerazione degli imperatori futuri. Questo veniva considerato un dio vivente per gli abitanti delle province, ma i romani potevano adorarlo solo dopo la morte, nel caso in cui il senato ne avesse decretato l’apoteosi.
Juan Manuel Cortés Copete, Augusto, l’imperatore di dio, in << National Geographic Storica,>>, n°115 (2018), pp. 68-83.