Presso il Teatro Libero di Milano è andato in scena Munch: ideato, diretto ed interpretato da Corrado Accordino. Lo spettacolo è sul pittore norvegese Edvard Munch, ma il sottotitolo recita “Questo non è Munch, o meglio, non è solo Munch”, come a suggerire allo spettatore la ricerca di una seconda chiave di lettura.
La scenografia è composta da una sedia posta sulla destra davanti ad una parete nera che, terminando a metà del palco, viene a creare un secondo ambiente più stretto e profondo. Quando Munch sta seduto sulla sedia, di profilo al pubblico, è riflessivo e pare quasi confessarsi. Quando invece sta di fronte al pubblico, nello spazio lasciato dalla parete, ombreggiato da un faro verticalmente diretto sopra di lui: pare lasciarsi andare ad un flusso di pensieri forte, esagerato, strabordante, che egli proclama al mondo e agli spettatori davanti a sè. Il testo recitato da Accordino, ripreso in questa recensione, è ispirato agli scritti originali del pittore di Oslo.
La scena sul palco è dominata dal buio; la luce proiettata sull’attore offre visioni tenebrose e artistiche del personaggio che modella i fasci di luce con il suo nero e lungo mantello, rimanendo col volto oscurato dalla larga banda del cilindro che indossa. Queste pose artistiche sono in linea con il tema centrale dell’opera: l’Arte alla quale Munch dedica la sua vita rinunciando a tutto, poiché, come egli stesso afferma, non gli interessa vendere, ma progredire e far evolvere l’Arte e l’Uomo. Questo è l’assillo di Edvard che, affetto da una malattia neurologica e organica, non vuole avere figli per il timore di trasmettere loro il suo male.
Corrado Accordino fa tremare le mani e il corpo della figura che interpreta facendo percepire lo stato di eccitazione nervosa propria dell’artista fin dai primi anni dell’infanzia, tormentati dagli “Angeli Neri” di Morte, Paura e Angoscia, angeli portati, forse, dalla prematura morte della madre e della sorella, venute a mancare quando lui “era troppo, troppo giovane”. Angeli che torturano il suo corpo e la sua mente, ma che gli danno anche una sensibilità ulteriore, in grado di fargli sentire “i suoni nei colori e i colori nei suoni”, come appare nei suoi dipinti più famosi. Edvard è un artista che ama, ama più di ogni altra cosa, ama la vita, i colori, la pioggia, le persone e ama anche la sofferenza. Ama primariamente la Natura e tuttavia non può, come tutti gli altri, godersela in tranquillità “raccogliendo fiori o passeggiando nei campi”, poiché egli non ha assolutamente tempo: ogni suo sforzo, ogni sua azione è irrimediabilmente volta verso quell’evoluzione dell’Arte e dell’Uomo cui tanto anela e cui dedica ogni istante della sua vita.
Una volta raggiunto il successo, Munch deplora la fama che ha attirato su di sé detrattori della sua arte, gonfi d’invidie e di commenti maligni e si rifiuta, come vorrebbero alcuni amici, di vendere tutti i suoi quadri sull’onda del successo. Narrando della sua pura ricerca del vero, della poesia, dell’arte, Munch fa notare come ogni progresso nel passato fosse stato possibile grazie alla trasgressione delle regole fin allora vigenti (Michelangelo dipinse corpi osceni sulla Cappella Sistina, Mantegna raffigurò la Madonna ritraendo una prostituta incinta, etc.) a indicare che la via giusta per l’evoluzione dell’arte spesso è anche quella più criticata.
Munch è uno spettacolo denso ed intenso, dura all’incirca 50 minuti ma offre spunti sull’arte e sulla vita che fanno riflettere per giorni.
Visione diretta dello spettacolo