Non ho sceso un milione di scale dandoti il braccio,
Nemmeno trecentosessantacinque, come almeno avrei pensato,
E ora che non ci sei non è il vuoto a ogni gradino.
Una cosa è vera: che le pupille,
Sebbene tanto offuscate, che vedevano meglio
Erano le tue:
Non sono più un surrogato e un’ombra di esistenza malinconica,
Colla bocca verso il basso, nel suo solito movimento;
Non ha fatto in tempo ad annullarsi la mia lingua:
Solo ora non ho bisogno di logopedisti.
Come un seme sono stata gettata
Dove la terra mi tiene ancorata al grembo:
Si nasce in autunno, si muore in autunno,
Poi si perdono le foglie, segue il gelo invernale, infine i primi timidi germogli.
La pelle mi precede: fra tre settimane non sarà la stessa che hai visto
― L’epidermide di cellule morte.
Un giorno ti ringrazierò.
Ciao “Mosca”.
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