L’omicidio di Giacomo Matteotti, segretario del Partito Socialista Unitario, fu un evento cruciale per il fascismo. La sua morte portò ad un breve periodo di crisi politica e costrinse Mussolini ad accelerare i tempi per la presa incontrastata del potere in Italia. Infatti, il periodo trascorso tra la sparizione del deputato e la normalizzazione con l’entrata in scena del re Vittorio Emanuele III viene visto come l’unico vero momento in cui il fascismo sarebbe potuto crollare.
Tutto iniziò il 6 aprile 1924 quando con le elezioni Mussolini ottenne ampi consensi e la maggioranza in parlamento. Ma il 30 maggio, nel giorno della convalida dei deputati, Matteotti decise di tenere un discorso alla Camera. Qui denunciò le violenze e i brogli commessi dal Partito Fascista durante la campagna elettorale dichiarando di volere l’invalidità delle elezioni. La sua arringa ovviamente fu oggetto di polemiche e creò un forte scompiglio tra i presenti. Passarono alcuni giorni e il 10 giugno, mentre si stava recando alla Camera dei deputati per compiere delle ricerche, scomparve improvvisamente, La polizia intervenne subito e, dopo neanche 24 ore, arrestò le cinque persone ritenute colpevoli. Questi appartenevano alla Ceka del Viminale, cioè una sorta di forza squadrista. Si scoprì che avevano rapito Matteotti appena uscito di casa caricandolo in macchina. Il segretario del Psu venne ucciso praticamente subito durante il trasporto poiché continuando a ribellarsi avrebbe potuto attirare l’attenzione sui rapitori in fuga. Il cadavere venne ritrovato il 16 agosto appena fuori Roma.
Quale fu però il movente dell’omicidio e i mandanti? Ancora oggi ci sono svariate interpretazioni, alcune più convincenti e altre meno. Una di quelle più accreditate ipotizza che non ci sia stato un ordine diretto ed esplicito da parte di Mussolini, ma che i suoi subordinati avessero capito dalla sua reazione rabbiosa che Matteotti dovesse essere ucciso. Per questa interpretazione politica la motivazione sarebbe il discorso del 30 maggio contro il fascismo. Altre piste portano invece ai legami tra fascismo e mondo degli affari, dove tangenti e scandali sarebbero state scoperte da Matteotti. Egli avrebbe fatto numerose ricerche anche all’estero e, una volta avvicinatosi troppo alla verità, sarebbe stato tolto di mezzo. Queste sono le due ipotesi che fino ad ora sono risultate più verosimili. Invece non regge il ragionamento secondo cui si voleva solamente dare una lezione al deputato e che poi la situazione sarebbe degenerata. Questo perché altrimenti l’intimidazione sarebbe avvenuta poco dopo il suo discorso del 30 maggio e non il 10 giungo. Il delitto quindi fu premeditato, non uno sbaglio.
Il fascismo dopo l’assassinio si trovò contro l’opinione pubblica e i giornali, rischiando veramente la disfatta se le opposizioni avessero sfruttato bene l’occasione. La minoranza dei partiti in parlamento decise dal 13-14 giugno di astenersi dai lavori parlamentari fino a che non fosse stata fatta luce sull’omicidio. Iniziò così quella che prese il nome di secessione dell’Aventino, cioè un ritiro dalle camere. L’Aventino si dimostrò un completo disastro dal punto di vista politico perché uscirono dal parlamento solamente le opposizioni e quindi non ne venne compromesso il funzionamento. Era solo una mossa dalla valenza morale. Per questo motivo il re decise di non intervenire, dichiarando che gli atti del governo avevano valore, vista l’esistenza di una maggioranza in parlamento. La presa di posizione (o non presa) di Vittorio Emanuele III mise praticamente la parola fine su una possibile vittoria degli aventiniani, rendendo totalmente inutile la loro azione.
Superata questa piccola crisi il fascismo si trovò la strada spianata. Mussolini capì che ormai quasi più nulla si poteva mettere tra lui e il controllo del paese. Da quel momento venne dato un giro di vite a tutti gli oppositori tramite norme e provvedimenti, come quello che permetteva al governo di sequestrare i giornali. Nel periodo successivo al delitto Matteotti divenne chiaro che lo spazio per il dissenso era finito.
FONTI
Giorgio Candeloro, Storia dell’Italia moderna, Feltrinelli 2014
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