Nadsat: la lingua di Arancia Meccanica

Tante sono le immagini e i suoni che vengono in mente quando si pensa ad Arancia Meccanica. I costumi, le musiche e i discorsi del “nostro caro Alex” sono entrati a far parte dell’immaginario collettivo sopratutto grazie alla celeberrima pellicola girata da Stanley Kubrick nel 1972.  Sono passati oltre quarant’anni tuttavia il film, basato sull’omonimo romanzo scritto da Anthony Burgess, ha ancora un fortissimo impatto. Questo è dovuto alla grande contrapposizione (e contraddizione) di ciò che la scena dovrebbe evocare e ciò che effettivamente viene rappresentato. L’esempio più lampante può essere individuato nello stupro che Alex e i suoi compagni, chiamati drughi, compiono cantando la scanzonata Singin’  in the Rain: (fuori dalla quarta parete) lo spettatore normalmente è abituato ad associare le note di Gene Kelly alla gioia di vivere ma mentre guarda Arancia Meccanica assiste a uno stupro, senza neanche troppe censure.

Quello che tanto Burgess quanto Kubrick volevano mostrare attraverso le distopiche e fanta-politiche avventure del nostro caro Alex era una sorta di “contro-catarsi”, il ribaltamento della secolare tradizione legata alla tragedia classica.  Col progredire del romanzo//pellicola il protagonista diventa una vittima del sistema; lo svolgersi della vicenda sembrerebbe portare il lettore/spettatore a odiare la “società” (quella fittizia del romanzo) e a tifare per Alex, il cui nome è scomponibile in A-lex; in latino significa “senza legge”.

Il capo dei drughi non è l’esempio da seguire, la persona (o il personaggio) con cui immedesimarsi. Tutto il contrario. Gli amanti del teatro e della letteratura tedesca potrebbero collegare questo espediente letterario a Brecht e il suo Mack, protagonista dell’Opera da tre soldi.

Eppure il successo e la fama di cui gode Alex ha sfortunatamente causato anche l’effetto contrario.     In Italia si è parlato più di una volta di “rapine all’arancia meccanica” e (cosa meno importante ma non banale) mi è capitato più volte di sentir scimmiottare il “malcikko” da qualche conoscente: – mi fa male il Gulliver! – Karasciò drughi, beviamoci del Latte+! – il pensare è per gli stupidi, i cervelluti si affidano all’ispirazione che il buon Bog manda loro!

Ma cosa vogliono dire realmente queste parole citate così a sproposito? Sono parole inventate da Burgess? La risposta è “sì” ma solo parzialmente. Alex e i suoi compagni parlano infatti il Nadsat, un particolare slang creato da Burgess (che era anche glottoteta) che prende in prestito molti elementi dal russo. Nadsat, parola che potrebbe sembrare misteriosa e cool, in realtà nel mondo slavo sarebbe traducibile come “adolescenziale”; per la precisione è una sorta di calco per indicare teen e teeny, niente di poi così serio e maturo, tutto il contrario: un linguaggio poco più che infantile!

(Video tratto dal Canale YT di Veuyon)

Difficilmente uno lettore/spettatore medio è a conoscenza quindi del vero significato della parole emesse da Alex, tendendo piuttosto ad attribuire una propria sfumatura dettata dal fascino del drugo. La stessa parola “drugo” è un gioco di parole che nasce dalla fusione del russo друг (amico) traslitterato nell’alfabeto latino “drug” e che letto in inglese significa droga. Il famigerato Gulliver, da cui i Verdena hanno tratto forse il loro miglior pezzo, è una paraetimologia con голова (si pronuncia galavà), ovvero la testa. L’altisonante Korova Milkbar dove la storia prende inizio in realtà si potrebbe tradurre con “il bar (della) mucca/vacca” e ha molto senso considerando che è il luogo dove i drughi si ritrovano a bere il latte+ (in inglese viene chiamato moloko vellocet), ovvero il latte diluito con mescalina.


FONTI
Arancia Meccanica (A Clockwork Orange) di A. Burgess, 1962, traduzione di Floriana  Bossi, Giulio Einaudi Editore, Torino
Clockwork orange web archive

 

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