Paura di fallire, di non essere all’altezza della situazione, ansia di apparire sciocchi agli occhi delle altre persone e timore che parlino male di noi. Schiacciati da uno stile di vita che richiede sempre di più e sempre di meglio, ci sentiamo costantemente pressati dall’ossessionante ricerca di una perfezione che, scontrandosi con l’imperfetta realtà, sfocia in un intollerabile e doloroso conflitto interiore. La comunità scientifica concorda nell’affermare che la società occidentale sembri essere particolarmente incline a queste tipologie di disagio, capaci di causare effetti estremamente negativi sulla vita quotidiana delle persone, quali incapacità di giudizio oggettivo e realistico, aumento dell’irritabilità o ancora cardiopatie, indebolimento del sistema immunitario, disturbi gastroenterici, affaticamento e rallentamento della crescita nelle adolescenti.
Per gli occidentali, tali approcci mentali nei confronti della vita appaiano scontati, normali e addirittura irreversibili. D’altronde, siamo figli di una letteratura che molto spesso ha piantato nelle giovani menti il seme del pessimismo – il solo suolo europeo ha partorito alcune delle personalità più disfattiste: come non citare Schopenhauer e la sua visione del dolore come condizione permanente dell’esistenza; oppure Sartre, che con l’opera La Nausea ha perfettamente descritto un genere umano essenzialmente vuoto, nichilista, incapace di trovare conforto nel prossimo. Attualmente, la frenetica ricerca del successo materiale, di un corpo perfetto o di un lavoro che possa garantire una certa reputazione e status sociale rende le persone ansiose, insoddisfatte e, nel peggiore dei casi, infelici della propria esistenza.
Ciononostante, esistono culture il cui approccio alla vita risulta essere del tutto differente, tanto da non essere addirittura a conoscenza del concetto di “odio di sé”, come dimostra lo sconcerto e lo stupore del XIV Dalai Lama del Tibet, Tenzin Gyatso, quando venne a conoscenza dell’esistenza di una simile problematica. Nel volume L’Arte della Felicità, redatto dallo stesso Dalai Lama e dallo psichiatra americano Howard Cutler, si susseguono riflessioni concernenti tali questioni attraverso una interessante combinazione di filosofia buddhista e scienza occidentale.
La diversità di approccio alla vita e di metodo tra buddhismo e psicologia occidentale per la risoluzione dei problemi esistenziali del genere umano risulta evidente. Sebbene l’obiettivo sia sempre quello di incoraggiare al superamento degli ostacoli implementando la fiducia in se stessi, la psicologia occidentale tende a dare troppa enfasi nel diventare individui dalla personalità forte. Lo si può notare anche dalla terminologia utilizzata: nel volume Vincere la Paura del Fallimento dello psicologo e psicoterapeuta austriaco Hans Morschitzky viene usata la locuzione “persone orientate al successo”, implicando una forte affermazione del sé.
È invece sorprendente l’approccio del Dalai Lama, il quale non si fa scrupoli nell’affermare i propri limiti e i propri errori, dimostrando come la sincerità e le buone intenzioni alla base delle proprie azioni fungano da antidoto alla paura e all’ansia. Infatti, mettendo in pratica questo concetto apparentemente semplice, si possono notare notevoli miglioramenti nella gestione dell’ansia e delle paure, poiché le buone motivazioni, anche in caso di fallimento, fanno sentire le persone in pace e serene con se stesse.
Secondo Tenzin Gyatso è dunque fondamentale correggere le motivazioni di base. Una delle più evidenti differenze tra la filosofia buddhista e la psicologia occidentale risiede nel fatto che, per il Dalai Lama, coltivare e incrementare l’entusiasmo e la determinazione ha come obiettivo l’adozione di comportamenti più sani al fine di eliminare i meccanismi mentali negativi, non già per ottenere successo materiale, fama o potere. Non solo: il Dalai Lama auspica a un processo di modifica e ri-creazione delle motivazioni di base per orientarle verso qualità come gentilezza e compassione, sottolineando la natura fondamentalmente buona del genere umano. Un po’ come si legge nella storia zen Collera, nella quale si dimostra come gli stessi attacchi di collera irrefrenabili non facciano parte della vera natura umana, dunque possono essere corretti.
Per ultimo, mentre gli psicoterapeuti di orientamento psicoanalitico ricercano le cause delle alterazioni circa la percezione di sé e della propria persona, identificando nei rapporti non sani o diseducativi con i genitori o i loro sostituti le prime cause di distorsione dell’immagine di sé, il Dalai Lama e la filosofia buddhista in generale si occupano principalmente di «”estrarre le frecce”, senza sprecare tempo a chiedersi chi le abbia tirate». Sicuramente un metodo più diretto nell’affrontare il problema, che permette di concentrare le energie nell’annientamento degli stati mentali negativi.
Si può dunque concludere che sia la filosofia buddhista sia la psicologia occidentale abbiano l’obiettivo di aiutare le persone a combattere contro i propri disagi e conflitti interiori, sebbene servendosi di approcci estremamente diversi. Mentre la filosofia buddhista sprona al cambiamento e alla ri-creazione delle proprie motivazioni di base così come dei propri meccanismi mentali negativi, facendo sempre riferimento alla gentilezza, alla compassione e all’umiltà, la psicologia occidentale sembra puntare a un più personalistico e materialistico cambiamento, sicuramente frutto di una cultura più individualista.
FONTI
Dalai Lama, Howard C. Cutler, L’Arte della Felicità, Mondadori Editore, Milano, 2014
Hans Morschitzky, Vincere la paura del fallimento. Superare ansie, timori e sconfitte per tornare a guardare al futuro, Urra – IF. Idee Editoriali Feltrinelli, Milano, 2013
Nyogen Senzaki, Paul Reps, 101 Storie Zen, Adelphi Edizioni, Milano, 1973