Il fuoco dell’ultima sigaretta andava estinguendosi, bruciando ormai vicino al filtro. La flebile scintilla non illuminava più la mal curata barba dell’uomo che aprì il pacchetto con le dita per controllare se fosse davvero l’ultima. Con suo sommo rammarico lo era, giungeva ormai il momento di partire. L’immenso macchinario si ergeva davanti a lui, sublime nella sua solitudine e nell’abbandono. Non un filo d’erba aveva più il coraggio di crescere ormai, nemmeno la natura voleva riprendersi le terribili creazioni dell’uomo. Fuori dalla finestra il cielo aveva quel colore che ormai dominava gli incubi degli uomini, l’inquietante misto di nero ed arancione. Il sole non splendeva più, a malapena gettava i suoi raggi sulla terra, visibili distintamente solo nelle ore dello zenit. Sembrava tramontare e così scomparire per molte ore dalla vista dei pochi rimasti. Il pulviscolo nucleare si alzava mosso dal vento sferzando le guance delle statue degli Imperatori romani, senza più nulla da governare, le poche rimaste sulla via. Anche del Vittoriano rimaneva poco. La stanza dove si trovava l’uomo era segreta: uno scienziato folle, con ancora qualche speranza, suo amico, vi aveva condotto degli esperimenti. Voleva portare a compimento una missione che avrebbe cambiato le sorti del genere umano, impedito quella guerra alla radice. Così assorto dalla sua ricerca si era trascurato, non si era accorto della malattia che lo incalzava. La sua morte era diventata un martirio nella mente dell’uomo, ancora giovane, ma che non lo era mai potuto essere. Aveva deciso di finire ciò che il suo amico aveva iniziato. Entrò nella sala di comando del mostro di cavi e lamiere, davanti a lui una logora poltrona e una sfilza di leve e bottoni. Sapeva perfettamente quali premere, lo aveva imparato in tutto il tempo che aveva passato indeciso sul da farsi. Compose la complessa sequenza rapidamente, senza indugio, ormai convinto. Il macchinario iniziò a lavorare con decisione, rumoroso, invadente. Tutti i sistemi entrarono in funzione, in breve tempo intorno a lui sembrò tutto girare, forse era così, non era mai entrato nelle specifiche tecniche. Grandissime quantità di energia che avrebbero fatto molto comodo ai superstiti celati nelle loro case vennero vorticosamente convogliate negli ingranaggi, tutto sembrava piegarsi intorno a lui, sotto la forza della scienza del suo defunto amico. Il tessuto spazio-tempo si piegava manegevole e malleabile sotto le precise indicazioni dategli tempo addietro. La macchina emanò un sordo scoppio e le sue componenti tornarono al loro silenzio rimesso, ben più consono ad un mostro d’altri tempi. I vetri di fronte alla cabina di comando sono ormai oscurati dalla polvere, nulla si scorge di ciò che è fuori. L’uomo rimase alcuni istanti che sembravano secoli seduto, ad attendere. Non attendeva niente ovviamente, tutto ciò che poteva succedere era rimesso ai suoi atti. Si alzò, aprì la porta ed uscì. Di fronte a lui solo il buio.
Si stendeva una vallata interminabile, con quelle che sembravano macchie erbose o di alberi, ma niente era veramente distinguibile nel buio pressochè totale calato sul mondo. Solo le stelle illuminavano la pianura. Le stelle. Non le vedeva da quando era piccolo. Si ricordava serate in campagna con i genitori, lui su una sdraio in giardino a guardare il cielo stellato, la madre dolce ed affettuosa vicino a lui ed il padre sempre intento ad ascoltare la radio, ad ogni ora, sempre preoccupato per la guerra che doveva scoppiare, ogni giorno qualcuno doveva lanciare la bomba ma non lo faceva, era diventato un ritornello grottesco, finchè la bomba non fu lanciata veramente. Il cielo del suo mondo era sempre coperto dal pulviscolo nucleare, le stelle erano state dimenticate, e con loro le speranze di un futuro che valesse la pena aspettare. A tutto questo pensava mentre guardava le stelle, dimentico finalmente della sua missione e di tutto il resto, con la testa svuotata e limpida per la prima volta dopo tanto. Bastò un attimo a farlo tornare presente a se stesso, a ciò che aveva promesso di fare. Tirò fuori dalla giacca una torcia e la accese per illuminare il sentiero. La luce fioca ed incerta era abbastanza per rivelare il terreno di fronte a lui. L’erba cresceva tranquilla e spensierata. Ancora incerto tornò alla macchina per osservare il tempo e la data scelti. Sembrava essere tutto esatto. Si incamminò su quella che sembrava una strada, o qualcosa di simile. Passarono lunghe ore di inutile cammino, senza una direzione, senza un senso. La disperazione e l’angoscia si impadronivano del suo cuore. Ormai era in uno stato di veglia vigile, assolutamente incosciente. Ad un certo punto gli sembrò di scorgere per un solo attimo su quella che sembrava una rupe una luce, un fioco puntino, che scomparì immediatamente dietro le rocce. La miracolosa visione lo ridestò come da un sonno senza sogni. Iniziò a correre, più rapido che potesse, senza pensare a nulla, senza curarsi dei rami e delle radici che intralciavano il suo cammino e che lo colpivano e lo ferivano ad ogni passo. Si arrampicò sulla rupe, si aiutò con le mani, immergendo le unghie nella terra per portarsi avanti. Oltrepassato l’ostacolo si rivelò davanti a lui una luce, nascosta fra gli alberi, ma non più celata. Riprese fiato, certo di aver trovato chi cercava, e a passi decisi si avvicinò alla luce. Dopo alcuni minuti giunse in una radura nel bosco, la notte era sovrana ma innanzi a lui vi era il fuoco. Il fuoco che tanto cercava, che lo spaventava, divampava immobile nella torcia dorata dal fine disegno e le ricercate iscrizioni, in una lingua a lui sconosciuta. Il braccio che la teneva alta, come se fosse una lanterna, era forte e statuario. Le scintille del fuoco imperituro si posavano docili sulla curata barba del Titano. Ormai era certo che fosse lui. La veste rossa brillava illuminata dalla luce arancione, stagliandosi violenta contro le tenebre. Di fronte all’uomo, annichilito dalla maestosa visione, si erge Prometeo.
Le gambe gli cedono, gli mancano la forza ed il respiro, per lunghi attimi rimane ad osservare il liberatore degli uomini nell’atto di portare loro il fuoco divino. Anche il magnifico Titano è sorpreso, sotto i riccioli castani brillano i suoi occhi sgomenti di fronte a quest’uomo dallo strano abbigliamento. Come un tuono la sua voce risuona nella radura.
“Chi sei?” Due semplici parole, niente di più. Due semplici parole che lo destano dall’estasi mistica nella quale si era chiuso.
“Un uomo. Vengo dal futuro, un futuro più buio di questa notte.” La bella fronte del Titano si aggrotta sentendo questa frase delusa e piena di sofferenza. “Tu sei Prometeo, vero? Porti il fuoco liberatore agli uomini, rubato dagli Dei?”
“Come fai a saperlo? Ti manda Giove? Ma tu non sei un Dio e nemmeno un Titano, perchè dovrebbero affidare i loro compiti ad un uomo..” E’ confuso, sentimento sicuramente nuovo per un essere pressochè onnipotente. “Chi sei quindi? Che vuoi?” Le parole ripetute risuonano ancora più forti della prima volta, questa volta colorate di minaccia e miste al sospetto che il Titano macchiatosi del furto nutre.
L’uomo decide di prendere coraggio ed affrontare la situazione.
“Sono qui per impedirti di portare a termine la tua missione.”
L’assurda dichiarazione dell’uomo fa proruppere Prometeo in una fragorosa risata.
“Nottetempo ho sottratto il fuoco nascosto da Zeus, intrufolandomi come uno sporco ladruncolo nell’Olimpo aiutato dalla cara Atena, ed adesso giunge un uomo che dice di provenire da un buio futuro e vuole impedire a me,” su queste parole il volto del Titano si oscura assumendo un’aria terrorizzante, “Prometeo, il Titano, figlio del Gigante Eurimedonte, di donare il fuoco alla mia creatura, modellata con queste stesse mani?! Tu sei folle!”
Le parole echeggiano nella vallata, spaventose. La minaccia del Titano colpisce l’uomo per il tono perentorio che aveva assunto, ma senza sorprenderlo. Aveva previsto questo scenario, immaginando che non avrebbe gradito.
“Nel futuro dal quale vengo non si vedono più le stelle. Gli uomini hanno combattuto contro gli uomini per l’ennesima volta, ma stavolta hanno deciso che non doveva più esserci un vincitore. Siamo stati tutti sconfitti. Abbiamo ucciso il pianeta stesso. L’aria non si può più respirare e non si possono più mangiare i frutti della terra. Niente più cresce e non ci sono animali al pascolo perchè non hanno di che cibarsi. I pochi sopravvissuti alla catastrofe si stanno arrangiando come possono, ma stiamo lentamente morendo tutti di fame e di tedio per la vita. Fra non molto non ci sarà più nessuno ad abitare il mondo. Devo far sì che le cose cambino, per questo ho viaggiato nel tempo fin ad adesso.”
I bellissimi occhi azzurri del Titano brillano dietro la fiamma divina, il viso rigato di lacrime per la terribile sorte della sua creatura appare sconvolto.
“Vieni con me, uomo del futuro,” tende la mano libera verso di lui, “dì agli uomini che stanno per ricevere questo regalo il prezzo con il quale viene, spiegagli ciò di cui sono stati capaci quelli della tua epoca e mettili in guardia dai rischi che si annidano dietro la libertà. Aiutami a salvarli. D’altronde nemmeno gli Dei sanno cosa accade a chi tenta di variare il corso del tempo. Lo sanno solo le Parche che tagliano e cuciono i fili delle vite degli uomini.”