Fin dagli Anni Novanta, l’ora di pranzo appena dopo la scuola è stata colorata dalla mano di Matt Groening e i suoi Simpson..seguiti da Futurama e Griffin.
I Simpson erano – e sono tutt’ora – inseriti in quella fascia oraria dedicata esclusivamente ai bambini, quindi si dovrebbe dar per scontato che si tratti di un cartone rivolto a loro mentre, in realtà, almeno secondo quanto stabilito da analisi e studi universitari, non pare essere così.
In fin dei conti, se lo si osserva bene ci si rende conto che Homer (e gli altri capi famiglia) sono scurrili, anticonvenzionali, privi di morale e realistici. Rappresentano la società americana esattamente per quello che è.
Homer è il capofamiglia, “lavora” in fabbrica, sottomesso a un capo straricco che non si interessa dei propri dipendenti, ha pochi amici ma buoni, tre figli e una moglie. Puntualmente si reca al bar ad ubriacarsi. Tale bar è gestito da un “povero illuso senza speranze di una vita migliore” (parole sue).
Marge è la tipica casalinga semi disperata in cerca di un’occupazione per la giornata. Dedica tutta la vita ai figli e i suoi momenti di disperazione sono molto divertenti (apparentemente).
Infine i figli: altro stereotipo grande come una casa. Lisa è geniale, sveglia e tutto fare; Bart (che ha 8 anni e la stessa maglietta blu da più di trent’anni) è la classica pecora nera della famiglia e infine Maggie che parla solo una volta mentre per il resto fa la bambina molto molto piccola.
Non vi ricorda qualcosa tutto questo? Viene in mente una parola, anzi una persona: Talcott Parsons, sociologo degli anni in cui le gonne erano a ruota e si metteva il gel nei capelli. Egli, a cavallo tra gli anni Cinquanta e Sessanta scrisse un articolo nel quale affermava che il solo scopo dell’uomo in una famiglia era di lavorare, quello della moglie era cucinare, tener casa e bambini e quello dei bambini era di obbedire. Punto, fine.
I soggetti del cartone appena descritti rappresentano esattamente questo, con un’aggiunta: scherniscono Parsons, clamorosamente.
In ogni caso, resta un modello tipico di famiglia americana che regge ancora oggi. Motivo per il quale molti cartoni animati fatti seguendo il “modello simpson” funzionano. Vediamone almeno due.
NB: tralasciamo apposta Futurama, Family Guy, American Dad e i Griffin perchè sono proprio uguali.
Numero uno indiscusso della lista: F is for Family.
Arrivato quest’anno alla seconda stagione (grazie Netflix), ci racconta le vicende di una sgangherata famiglia del Midwest americano durante il decennio a cavallo tra gli anni Settanta e Ottanta.
Anch’essa mette in mostra un fortissimo stereotipo di famiglia americana ma al contempo ci permette di rifettere su temi attuali e non di politica o cultura in generale. Ma anche di ruoli familiari, coesione e ribellione verso un sistema ingiusto, razzista e sessista (Donald Trump who?). Frank Murphy è un eroe moderno, rappresenta tutti noi che dobbiamo lottare per farci spazio in un mondo di incomprensioni e ingiustizie. Ed ecco a voi un altro cartone molto poco adatto ai bambini.
Numero 2 della lista è BoJack Horseman, visibile su Netflix.
Egli è la reincarnazione fatta a cavallo di Underwood, la famiglia Soprano e Don Draper messi insieme. Un cavallo ubriacone in disfatta, perso nello showbiz hollywoodiano. Incompreso da tutti ma voluto dalle donne, un sex symbol da tenere d’occhio. Eppure è un personaggio poco gentile con gli altri, anticonvenzionale e poco rispettoso persino di se stesso.
Il genio presente in questo eroe moderno sta nel suo deridere spudoratamente lo status attuale del mondo dello spettacolo, mettendo in luce le sue debolezze ma anche le sue virtù, quasi a mettere in guardia lo spettatore che ne viene automaticamente influenzato (altra teoria sociologica, quella dei magic bullets, nel caso a qualcuno interessi).
BoJack non dovrebbe far ridere, eppure si ride.
Detto questo, godetevi pure tutti i cartoni che volete, ma mentre lo fate, pensate al loro vero messaggio, sono ideati e realizzati apposta per questo.
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