Era il 1934 e il premio Nobel per la letteratura veniva conferito a Pirandello; tale riconoscimento ufficializza l’opera di uno scrittore e drammaturgo da decenni consolidato. Dal 1915 alla morte scrisse più di quaranta opere teatrali, sperimentali e poeticamente sorprendenti. Riuscì, grazie al teatro, a dare corpo alla struttura dei personaggi – a lungo studiati nella narrativa breve e lunga – resi intramontabili, completi tanto nella psicologia, quanto nella fisionomia. La sua filosofia così innovativa si amalgama sorprendentemente bene allo scenario primo-novecentesco.
I personaggi pirandelliani sono tipicamente “trasgressivi“: rompono l’ordine universale o la consuetudine, improvvisamente non si riconoscono nella routine che da sempre ha caratterizzato la loro giornata. Infrangere gli schemi abituali (ciò che Pirandello definisce “forma”) significa soltanto entrare nella “vita”, diventare puro essere. Non esiste una concezione assoluta della realtà, poiché essa è molteplice e imprevedibile.
Nessuno di noi è nel corpo che l’altro ci vede; ma nell’anima che parla chi sa da dove; nessuno può saperlo: apparenza tra apparenza, con questo buffo nome di Cotrone… e lui, di Doccia… e lui, di Quaquèo… Un corpo è la morte : tenebra e pietra. Guai a chi si vede nel suo corpo e nel suo nome.
Così parla Cotrone, il teatrante mago dei “Giganti della montagna“, l’ultima opera teatrale (il testamento poetico) che Pirandello scrisse prima di morire. L’apparenza non è essere, ma la maschera con cui i personaggi si mostrano al mondo. Basandosi su questa teoria, Pirandello dà corpo a tipologie diverse di personaggi.
- Innanzitutto, tipico è colui che, consapevole della prigione in cui vive, decide di distruggere tutte le “forme” ed entrare definitivamente nella “vita”. Esempio celeberrimo è Vitangelo Moscarda – protagonista di “Uno, nessuno, centomila“, romanzo da cui sono state tratte molteplici opere teatrali – che dopo aver scoperto, grazie alla moglie, la stortezza del suo naso, trasgredisce a tutte le abitudini e demolisce l’immagine di sé stesso che aveva costruito nella società. Anche i personaggi di “Sei personaggi in cerca d’autore“ sono completamente “vita”: nonostante siano stati ideati dall’autore, la loro storia non è mai stata scritta. Essi sono, in questo modo, esenti dallo spazio e dal tempo, immersi nel perpetuo flusso vitale.
- Il secondo personaggio, tipico, è il cosiddetto “spettatore”: riconoscendo appieno la poetica pirandelliana, ma riscontrando una contraddizione profonda nell’accettazione della “vita”, si pone come osservatore di sé stesso e degli altri. Simile ad un saggio, si arrende alla contraddittorietà del reale, collocandosi in una posizione sopraelevata rispetto agli altri personaggi della storia; è il caso di “Fu Mattia Pascal“, ove il personaggio dichiara di non sapere più cosa essere. Anche Enrico IV, protagonista dell’omonimo dramma, giunge alla massima consapevolezza, arrivando a giocare con la duplice personalità: ingannando sé stesso, inganna la realtà del mondo che lo circonda.
- Infine esistono quei personaggi ostinati e focalizzati alla ricerca di un’assoluta definizione di sé, questi non si arrendono all’implacabile flusso e, tendenzialmente, entrano in contrasto con personaggi le tipologie sopra illustrate. Il capocomico nei “Sei personaggi in cerca d’autore“ è determinato a trovare un’interpretazione perfetta della scena teatrale, nonostante quest’ultima non possa esistere, poiché è impossibile rappresentare la “vita” dei “personaggi”. Anche Ilse, la contessa dei “Giganti della montagna“ appartiene a questa categoria: la sua caparbietà mostrata nel portare il teatro al di fuori della magica villa la rende un personaggio estremamente definito in una “forma”.
La grandezza di Pirandello consiste proprio nella costruzione di personaggi intramontabili; è proprio questa loro trasgressività e intrinseca contraddittorietà a renderli interessanti, intriganti e dinamici. A lui il merito di aver costruito drammi colorati, energetici e pieni di vita, vita vera.