Quali sono le caratteristiche principali che più segnano la nostra persona? Cosa si imprime su di noi, giorno dopo giorno, nel quotidiano? Molto spesso capita di dimenticarsi di quanto la lingua che parliamo sia un aspetto incisivo e fondamentale nella vita che conduciamo e in quale misura essa ci definisca, lasciandoci ingannare dall’ovvietà dell’argomento. In realtà, la questione può diventare abbastanza complessa se proviamo a immaginare che, un giorno, la nostra lingua madre potrebbe scomparire. Questo accade perché anche i linguaggi sono delle creazioni umane e, di conseguenza, possono essere soggetti a un ciclo vitale.
Alcune lingue sono svanite senza lasciare traccia – su alcune delle quali non abbiamo alcun indizio su quale fosse la loro pronuncia, per esempio – altre, invece, sono riuscite a sopravvivere poiché evolutesi o agglomerate in altri idiomi. Un esempio, forse tra i più conosciuti, è il Proto-Indo-Europeo, un ceppo da cui si diramano le radici di molte lingue moderne, come il Russo, il Farsi, o l’Albanese: è stato possibile ricostruirlo tracciando la storia dei suoi discendenti, tuttavia è così antico da non permettere agli studiosi di possedere informazioni certe sulla fonetica e sul lessico. Un’analoga mancata conoscenza riguarda l’Attico, parlato nella pianura anatolica e in seguito assimilato dall’Indo-europeo, reso ancora più oscuro dalla scarsità di testi prodotti e dalla scrittura a caratteri cuneiformi. Resta abbastanza un mistero anche l’Iberico – la lingua parlata nella omonima penisola prima della conquista romana, forse collegata alle lingue berbere, al basco o al celtico, e scritta in tre diverse varianti – e l’Etrusco, che è stato costretto a scomparire a causa della diffusione massiccia del latino e di cui non resta altro che speculazioni.
A volte, l’estinzione di una lingua si incrocia con il mito. È accaduto ciò al Maipure (o Maypure, o Mejepure), lingua indigena di una tribù del Bacino di Orinoco nell’odierno Venezuela: leggenda narra che essa fosse un idioma estinto preservato esclusivamente dai pappagalli, insegnato loro dai nativi e dai loro discendenti prima della fine. Sterminata la tribù da un’altra rivale, in realtà, il Maipure è sopravvissuto grazie al lavoro del naturalista tedesco Alexander Von Humboldt, il quale ne ha custodito le parole.
In casi abbastanza rari, invece, le persone fanno il possibile per non perdere definitivamente la loro lingua e mantenerla viva: un esempio che recentemente è stato diffuso dai media riguarda l’Azteco, ancora in auge a Milpa Alta, una comunità di montagna non distante da Città del Messico che mantiene tuttora le tradizioni del passato pre-colombiano. Qui molte persone parlano ancora il Nahuatl, il linguaggio che apparteneva all’Impero Azteco, e non solo: sebbene dovesse essere ormai del tutto estinto, il Nahuatl viene persino insegnato per favorirne la ripresa e portare in salvo l’identità e l’appartenenza a una determinata comunità.
Milpa Alta e il Regno Unito stanno mandando, nelle loro intenzioni linguistiche, un messaggio molto importante: non importa quanto il mondo sia – e sarà sempre maggiormente – globalizzato. Si può continuare a convivere e a modernizzarsi, senza dimenticare però il valore intrinseco e la bellezza disarmante del nostro passato. Anche se si parlano lingue diverse, nuove o quasi scomparse.