Recentemente il tema della tortura è tornato al centro dell’attenzione mediatica in seguito al post pubblicato su facebook da Giorgia Meloni il 12 luglio:
«Aumentare le pene a chi aggredisce un pubblico ufficiale e riscrivere il reato di tortura che, così com’è codificato oggi, impedisce alle forze dell’ordine di svolgere il proprio lavoro. Queste le proposte di legge presentate oggi da Fratelli d’Italia. Difendiamo chi ci difende!»
Ma, che cos’è esattamente la tortura e come è regolamentata oggi in Italia? Dall’articolo 613-bis del codice penale, è responsabile di tortura:
«Chiunque con violenze o minacce gravi, ovvero agendo con crudeltà, cagiona acute sofferenze fisiche o un verificabile trauma psichico a una persona privata della libertà personale o affidata alla sua custodia, potestà, vigilanza, controllo, cura o assistenza, ovvero che si trovi in condizioni di minorata difesa, è punito con la pena della reclusione da quattro a dieci anni se il fatto è commesso mediante più condotte ovvero se comporta un trattamento inumano e degradante per la dignità della persona.»
Il disegno legge è stato approvato il 5 luglio 2017 dalla Camera e prevede per i responsabili pene dai 4 ai 10 anni di carcere, che salgono fino a 12 se a commettere il reato è un pubblico ufficiale o un incaricato di pubblico servizio, con abuso dei poteri. Il testo era già stato precedentemente criticato da Amnesty International e Antigone (associazioni che si occupano anche di tortura) perché la normativa lascia ampi spazi discrezionali e presenta diverse incongruenze, per esempio riguardo ai traumi psichici che devono essere verificabili (non tutti i traumi sono facilmente riscontrabili e altri insorgono magari anche dopo molti anni). La legge viene considerata molto timida dalle Ong e dalle associazioni per i diritti umani; anche parlamentari come Luigi Manconi si sono battuti per una maggiore definizione.
La legge è stata fortemente incoraggiata nel 2015, in seguito alla condanna della Corte europea dei diritti umani di Strasburgo dell’irruzione alla scuola Diaz al G8 di Genova 2001. In quell’occasione è stato accertato che i poliziotti tennero una condotta crudele che aveva finalità punitive. Durante l’operazione la polizia si era infatti avvalsa di metodi come l’umiliazione morale e la sofferenza fisica sulle vittime. Proprio quell’episodio spinse la Corte, oltre a confermare il reato, a esortare l’Italia ad aggiustare la sua normativa in merito al crimine della tortura in modo da punire i responsabili senza dar loro alcun tipo di “ammortizzazione legislativa”.
Ma la nuova legge del 2015 ha suscitato ancora dure critiche perché la definizione di tortura che vi compare differisce in modo sostanziale dalla più equilibrata definizione data nella Convenzione ONU. La maggior parte delle critiche riguarda proprio il testo di legge: la tortura viene infatti considerata tale solo in presenza di atti ripetuti. Dopo mesi di polemiche il Comitato Onu contro la tortura ha presentato il 6 dicembre 2017 le proprie conclusioni sullo studio del testo di legge italiano. Per il Comitato la legge è incompleta e lascia spazio per l’impunità, dunque ha invitato l’Italia a modificare di nuovo il suo testo di legge perché non è conforme alle disposizioni della Convenzione Onu. Inoltre il comitato ha espresso serie preoccupazioni relative alla tortura nelle carceri italiane oltre che sul trattamento riservato ai migranti provenienti dalla Libia.
Da tutta questa vicenda Forza Italia si è mostrata invece di parere diverso. Il partito ritiene la nuova legge troppo permissiva per quanto riguarda il divieto di respingimento, espulsione o estradizione di migranti provenienti da uno Stato in cui la pratica della tortura è legale.
Giorgia Meloni fa sapere che anche Fratelli d’Italia punta ad aumentare le pene per chi aggredisce un pubblico ufficiale, ma non solo, anche per chi li minaccia o pone resistenza. In accordo con le idee della Meloni il deputato Edmondo Cirielli sostiene: «siamo di fronte a un’emergenza. Negli ultimi anni le aggressioni ai danni delle forze dell’ordine sono aumentate in modo impressionante». In reazione a queste affermazioni invece Maurizio Acerbo, di Rifondazione, manifesta ironicamente la sua contrarietà: «Non ci risulta che, in uno Stato di diritto, il lavoro della polizia consista nel torturare i cittadini. Meloni e Salvini propongono per modello l’Egitto?».
A corollario di questi episodi possiamo constatare che la tortura è un tema sempre attuale, oggi come ieri ha imposto delle scelte ai governanti e solo in tempi relativamente recenti si è giunti alla sua abolizione, anche se continua a sopravvivere in maniera larvata.
Nell’antichità greco-romana la tortura veniva applicata nei confronti degli schiavi per estorcere informazioni utili alle autorità, le sevizie potevano diventare condanna a morte in caso di reati di particolare gravità. Questa sorte era riservata anche ai cittadini liberi, ma solo se stranieri e in genere erano i nemici di guerra. Le forme di tortura più gravi conosciute sono l’inchiodatura, l’impalamento e la gogna: tutti questi sistemi prevedevano che il condannato rimanesse per molte ore (o per più di un giorno) nell’atroce posizione soffrendo smodatamente.
Nel medioevo e in epoca moderna la tortura veniva invece utilizzata nel segreto delle prigioni per ottenere informazioni o confessioni. Ottenuta (quasi sempre) la confessione e comminata la condanna, il prigioniero veniva portato sulla pubblica piazza ove veniva ulteriormente torturato fino al sopraggiungere della morte. Tristemente famose venivano somministrate pene come:
– il rogo: utilizzato in genere per uccidere eretici e gli accusati di stregoneria.
– lo stiramento: Il corpo della vittima dopo essere stato legato veniva allungato fino a provocare il dislocamento delle articolazioni, lo smembramento della spina dorsale e la lacerazione dei muscoli.
– la mutilazione: prevista per ladri e briganti, consisteva nell’amputazione di parti del corpo.
– pinze e tenaglie: pinze e tenaglie, spesso arroventate, venivano utilizzate per strappare e straziare la carne.
– la sospensione: il condannato veniva legato a un palo e lasciato morire di stenti; solitamente la tortura veniva intensificata legando dei pesi al corpo della vittima.
– lo scorticamento: alla vittima veniva strappata la pelle fino al sopraggiungere della morte.
– la vergine di Norimberga: il condannato veniva fatto entrare in un “sarcofago”, quando questo veniva chiuso gli aculei presenti nella struttura trafiggevano ogni zona del corpo, provocando lentamente la morte del prigioniero tra atroci dolori.
Per vedere abolita questa orrenda pratica si dovette aspettare il secolo dei lumi. Il primo a vietare l’uso della tortura fu Federico II di Prussia nel 1740; in seguito furono molti i pensatori e gli scrittori che cominciarono a denunciarne l’uso. In Italia Cesare Beccaria pubblicò Dei delitti e delle pene, nel 1764. Nei primi decenni dell’Ottocento quasi tutta l’Europa aveva abolito l’utilizzo della tortura. Tuttavia, in molti paesi del mondo essa è ancora praticata sia come soluzione per punire criminali che come mezzo per estorcere informazioni. Per esempio, in Corea Del Nord la tortura viene ancora ampiamente utilizzata all’interno dei gulag, nei confronti degli oppositori del regime.
Anche in Italia, nonostante si pensa che questa pratica sia stata eliminata, di tanto tanto emergono episodi che sconvolgono l’opinione pubblica e risvegliano le coscienze degli spiriti più illuminati, per esempio il caso già citato del G8 di Genova, di Stefano Cucchi, Claudio Renne e Andrea Cirino e altri ancora. La gravità di questi episodi dovrebbero indurre la destra italiana a meditare che, anche se una legge è troppo permissiva e rischia di impedire un lavoro davvero efficace agli agenti di polizia, viceversa una legge che concede molte tutele e lascia ampi margini di ambiguità contro il reato di tortura è ancora più grave, poiché compito dello Stato è evitare abusi, non legalizzare possibili reati e violenze da parte delle forze dell’ordine.