Santa Estasi: “Crisotemi”

L’ultimo atto di un progetto a otto puntate, “Santa Estasi“, non poteva consistere in altro che in “Crisotemi“, l’unica sopravvissuta della famiglia. Antonio Latella realizza, in compagnia di otto registi e sedici attori, otto spettacoli, dedicati a personaggi diversi della saga degli Atridi. Crisotemi, personaggio controverso, poco considerato dai classici, ma ampiamente discusso dalla critica, è stato protagonista di numerose riscritture e fonte di interminabili riflessioni sulla carneficina della famiglia.

Appena entrati in sala, la scenografia desta immediata impressione, quasi imbarazzo, per la sua maestosità: una tavola apparecchiata, due specchi enormi rivolti al pubblico e uno scenario all’apparenza borghese, con un fornello, degli armadi. In scena, in piedi, un uomo: si scoprirà essere Agamennone, il padre. Al tavolo, soltanto due sedie: una capotavola, la sedia del padre e l’altra, almeno all’inizio, vuota. Crisotemi esce da un armadio, dolce, anche se in abito elegante, verde come il colore dello sfondo scenografico. La sua solitudine è totalizzante: solo dopo un lungo silenzio il pubblico sente la sua voce. Quella che si discopre, piano piano, è una donna fragile, che si nutre del passato, legata, con un filo, alla voce di un tempo lontano. Continua a parlare alla coscienza dei suoi familiari, ne sente le voci, ne percepisce gli odori; la quotidianità assurda di una famiglia omicida diventa quasi innocente, se osservato dagli occhi di Crisotemi.

La costruzione enigmatica dello spettacolo è accompagnata da un testo musicale e molto fruibile. Numerose ripetizioni e frasi cantilenanti astraggono l’azione, contribuiscono, come tessere di un puzzle, ad astrarre lo spettacolo dalla quotidianità a cui è, apparentemente, legato. Crisotemi sembra coinvolta in un rito: la cura, precisione dei gesti e dei movimenti sembrano dei richiami alla propria coscienza, delle iterazioni perpetue. L’entrata in scena attraverso lo specchio rappresenta l’entrata in un mondo diverso dalla realtà storicizzata. Indizio importante è la presenza del padre in scena, nonostante sia morto: gli altri personaggi, infatti, sono immagini, non reali, della sua mente. Probabilmente Crisotemi è entrata nella propria coscienza, o nella propria mente, o (chi lo sa) nello strato più profondo dell’essere. Di certo la scenografia verde (dello stesso colore del vestito) e gli specchi rivolti al pubblico, sono inviti espliciti alla proiezione dello stesso spettatore in quella dimensione.

Più volte l’avventura di Crisotemi sembra l’atto finale, il momento di farla finita. Eppure non è chiaro se la conclusione sia un definitivo ricongiungimento, un annichilimento, un processo usuale o un definitivo atto di conciliazione con sé stessa e la propria famiglia. Come una bambina, si nutre in grembo paterno, consentendo l’entrata in scena di tutti i personaggi; i morti riaffiorano dalla profondità, quasi a voler saldare, in definitiva, i conti con la protagonista. Tuttavia sono pronti a scomparire di nuovo, non appena il nutrimento paterno sarà cessato, facendo ricadere Crisotemi nella perpetua condanna. Latella nobilita il testo classico, rendendolo fonte rigogliosa di infiniti significati occulti. La follia della protagonista filtra tutto attraverso la fantasia visionaria di una donna talmente vittima, da diventare quasi colpevole. La quotidianità assurda di una famiglia omicida diventa quasi innocente, se osservato dagli occhi di Crisotemi.

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