“Tecnologia”: una parola ormai così diffusa nella nostra società da essere diventata uno “stile di vita”, in quanto ogni nostra azione, in ogni momento della giornata, la vede protagonista. Un membro così integrante da sbarcare anche sul mondo del lavoro, a ritmi sempre più sostenuti e incalzanti, tant’è che il Boston Consulting Group ha iniziato a parlare di “Industria 4.0”. Una rivoluzione produttiva (la quarta per la precisione) dovuta all’avvento dell’automazione grazie alla comparsa di robot.
Per quanto concerne il primo punto, l’intelligenza artificiale dominerà la nostra vita entro il 2025, facendo sentire in maniera più rilevante la sua impronta sul settore della salute, dei trasporti, della logistica e della manutenzione della casa. Discorso diverso, invece, riguarda il mondo della scolastica contemporanea, il quale non è in grado di informare e preparare le persone per le sfide in atto. Sarà necessario, inoltre, ripensare al concetto di “lavoro”. Un futuro diverso, quasi ribaltato, rispetto al frenetico e caotico presente. Un futuro in cui sarà dato più spazio al tempo libero, offrendo una relazione più positiva tra lavoro e persone.
Per i restanti quesiti, invece, le fazioni restano opposte e divise. Da un lato si prospetta un’immagine negativa e di desolazione, incentrata su una sostituzione che travolgerà anche il personale più specializzato, come gli impiegati. Dall’altro, al contrario, è la fiducia nel futuro e nel progresso la protagonista indiscussa. Una speranza legata e insita nell’aspettativa di creare nuovi posti di lavoro, più numerosi rispetto a quanti verranno soppiantati dai robot. Aspettativa congiunta all’abilità dell’uomo di creare nuovi tipi di impieghi e nuovi modi di guadagnare.
Forse, però, è la mancanza di consapevolezza di un netto e devastante cambiamento a non mettere in allarme la cittadinanza. E non sarà solo la presa di coscienza a risolvere il problema, bensì un corretto utilizzo di queste nuove tecnologie. Sul piede di guerra è anche l’economista di Harvard Richard Freeman, il quale parla di rischio del “feudalesimo dell’età delle macchine”. Con questa designazione storico-filosofica, Freeman vuole sottolineare come la robotizzazione rischia di frastagliare la società tra i proprietari dei robot e i lavoratori. In altri termini, un calo dei salari dei lavoratori contrapposto a una crescita del guadagno per i proprietari. Dunque, è il tema delle disuguaglianze a essere al centro dell’attenzione; problema che bisogna cominciare a porsi fin da ora.
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