Il Dialogo della Terra e della Luna fa parte della raccolta di operette morali, scritte da Giacomo Leopardi tra il 1824 e il 1832 e pubblicate per la prima volta nel 1827. Queste furono per molto tempo svalutate dalla critica, per il fatto che non vennero capite. Quando lo furono, vennero considerate opere minori rispetto a quelle poetiche-filosofiche. Molto tempo dopo, sono state rivalutate, ma rimangono un luogo di analisi complesso, motivo per cui scarseggiano le monografie critiche in merito.
Il Dialogo della Terra e della Luna è prosa e saggistica d’invenzione. Le operette stanno a metà tra la realtà e la finzione: sono percezione del vero, o meglio, del vero leopardiano. La struttura è quella del dialogo tra due interlocutori, uno dei quali assume il pensiero di Leopardi. Leopardi, da parte sua, vuole confutare gli errori e proporre la propria visione materialista anti-teista, meccanicistica e a-finalistica. Una posizione particolarmente rappresentata dal pessimismo, che domina le operette e costituisce il finale del Dialogo della Terra e della Luna.
Questa operetta morale è divisa in due parti: la prima, caratterizzata da un tono satirico-ironico; la seconda, il cui impeto è più lirico e patetico. È dominata dall’ironia, quella che lo studioso Montani ha definito “riso filosofico”. Leopardi irride i miti antichi e i moderni che vogliono sentenziare sull’abitabilità della Luna, ma che sono limitati e inconsistenti di fronte alla vastità dell’universo. Uno dei temi fondamentali è la presunzione degli uomini, che credono di poter conoscere tutto e invece errano.
Protagoniste sono la Terra e la Luna, entrambe personificate. Della Luna si dice che ha occhi, naso e bocca, così come la vedono i fanciulli e i poeti. Il discorso della Terra è “alla buona”, quello della Luna è più meditato. Il tono generale è scherzoso, scanzonato e ironico. Alla Terra è sempre mancato il tempo di chiacchierare, ma ora che i suoi abitanti sono diventati oziosi, senza intelligenza e senza volontà, vive nell’inerzia e nella noia, motivo per cui può permettersi di scambiare due parole con il vicino pianeta. Tra le due, però, emerge subito l’incomunicabilità e l’incomprensione: la Terra immagina e ragiona solo da una angolazione terrestre e la Luna continua – con sarcasmo – a “smontare” le tesi della sua interlocutrice. Essa confuta la presunzione antropocentrica degli uomini e ammette: “degli uomini, io non ho capito un’acca”.
La Terra, infatti, è convinta che anche la Luna sia abitata dagli uomini e anch’essa conosca la guerra e la conquista.
Fosti tu mai conquistata?
No, che io sappia. E come? E perché?
Per ambizione, per cupidigia altrui, colle arti politiche, colle armi.
La Luna non conosce tutto ciò, eppure la Terra le conferma che un fisico, con un grande cannocchiale, ha visto molti bastioni sulla sua superficie. Sa anche che vi sono molti oggetti terrestri sulla Luna, motivo per cui le chiede di poterli riprendere, in cambio di molto denaro.
La Luna è stanca, la Terra la sta facendo impazzire.
Solo su un argomento le due sono d’accordo e si comprendono: i mali e l’infelicità. Essi non sono, infatti, propri della Terra, ma comuni a tutto l’universo e il maggior bene concesso alle creature è solo il sonno.
Pessimismo e ironia che si intersecano, fornendo un messaggio che rimane estremamente attuale.
Giacomo Leopardi, Operette morali, Feltrinelli Classici, 2004.
Ferruccio Monterosso, Dialogo della Terra e della Luna.