Trecentosessanta gradi di Vittorini

C’è un Vittorini che vale tanto ma di cui si parla poco. Un Vittorini importante per la cultura italiana tutta.

Il suo esordio non è quello del romanziere. Comincia, invece, dalla scrittura di articoli.

I primi, grazie a Curzio Malaparte, vengono pubblicati sulla rivista Conquista dello Stato. Sono gli anni Venti: il regime fascista ha soppresso la libertà di stampa da alcuni anni e le principali testate sono controllate dal regime. Solaria e poche altre mantengono una discreta autonomia. Vittorini, spirito libero e indocile, comincia a collaborare proprio con Solaria, una palestra importante per lui.
È nella rivista fiorentina che Elio Vittorini impara a non essere un intellettuale accademico.

In altre occasioni, scriveva di sé:

“Quando mi sono iscritto non avevo ancora avuto l’opportunità di leggere una sola opera di Marx, o di Lenin, o di Stalin. Debbo dirti a questo proposito, perché tutto sia il più possibile chiaro anche sul conto di Politecnico e sulla sua posizione culturale, che io sono esattamente l’opposto di quello che in Italia s’intende per «uomo di cultura». Io non ho studi universitari. Non ho nemmeno studi liceali. Potrei quasi dire che non ho affatto studi. Non so il greco. Non so il latino. Entrambi i miei nonni erano operai; e mio padre, ferroviere, ebbe i mezzi per farmi appena frequentare le scuole che un tempo si chiamavano tecniche”

Era invece, Vittorini, insofferente all’elitarismo culturale e esortava gli intellettuali italiani all’impresa di una cultura nuova, ad un progetto di progresso della politica e della società. Queste esigenze lo spingevano a sempre nuovi progetti editoriali e collaborazioni a riviste.

Nel 1945, nell’immediato dopoguerra, fondava Il Politecnico, una rivista edita da Einaudi. La periodicità fu dapprima settimanale, poi mensile e alla fine irregolare. Non sceglieva a caso il titolo: intendeva richiamare la rivista ottocentesca di Carlo Cattaneo, antiaccademica, pragmatica, e divulgativa (ma non popolare). Collaboravano al Politecnico Franco Calamandrei, Franco Fortini, Vito Pandolfi e Stefano Terra.
“Non più una cultura che consoli nelle sofferenze ma una cultura che protegga dalle sofferenze, che le combatta e le elimini”, si leggeva sul primo numero. Queste erano le intenzioni di Vittorini. Ma il giornale non ebbe vita facile e, a dirla tutta, neanche lunga. Sebbene iscritto al Partito Comunista, Vittorini avrebbe voluto riunire gli intellettuali italiani al di là di colori e bandiere, avrebbe voluto abbandonare neutralità e specialismi (tipici della tradizione nazionale) e creare un’esperienza culturale nuova.

Non era della stessa idea Togliatti, segretario del Partito, per cui politica e letteratura vanno a braccetto e per cui l’uomo politico può (e deve) intervenire nella cultura, ad orientarla, a dirigerla. Il contrasto era di non poco peso. Famoso il grido di Vittorini in risposta: è un’offesa per la letteratura “suonare il piffero per la rivoluzione”. Finiva nel 1947 l’esperienza del Politecnico e Vittorini abbandonava il Partito. Nel 1951 documentava tutto, pubblicando su La Stampa Le vie degli ex comunisti”.

Non si esauriva però l’ansia di libertà di Vittorini, che trovava nuove forme per esprimerla, quell’ansia. Si dedicava alla letteratura americana, da traduttore, da studioso, da neofita, perché quella letteratura era altrove, ed era oltre, altro. E quindi progettava una antologia Americana.

Giulio Einaudi lo metteva, poi, alla direzione della collana I Gettoni, che avevo l’obiettivo di creare uno spazio per i giovani, per le voci nuove. Tra queste, quella di Calvino.

Vittorini comincia a lavorare con Calvino, e, nel 1956, fondano una nuova rivista Il Menabò. Lo definirà Alberto Asor Rosa “l’organo più autorevole di questa tendenza a concepire il rinnovamento letterario in termini fortemente sperimentali e linguistici ma pur sempre nell’ambito di un’operazione culturale diffusa”. Menabò, in termini tecnico-editoriali, è l’abbozzo di un progetto, in cui via via si inseriscono osservazioni e modifiche. Le aspirazioni di questa rivista letteraria d’avanguardia erano l’apertura, la vivacità, il dinamismo intellettuale.

Ancora un progetto aveva Vittorini: Gulliver, rivista internazionale che voleva coinvolgere una cerchia formidabile di nomi, ma che non vide mai la luce, a causa della sua malattia.

Era un intellettuale frizzante. Dai viaggi onirici dei suoi romanzi, alle posizioni precise dei suoi articoli, alle collane editoriali innovative… un’esigenza faceva da carburante a tutto: comunicare.


FONTI

Fonte 1: Wikipedia

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *

Questo sito usa Akismet per ridurre lo spam. Scopri come i tuoi dati vengono elaborati.