Dopo la pioggia sono scivolato fuori insieme al crepuscolo. In quell’ora l’aria mi piace e insieme mi tormenta, perché sporca ogni cosa di verdone scuro e chiude il mondo in un fondo di bottiglia dove tira sempre vento. Mi è sembrato di aver camminato per un momento, ma forse i miei passi hanno calpestato almeno due ore.
I cani del parco li seguo spesso nelle loro strade alternative, nelle loro corse schizzoidi, nel loro eterno bighellonare festoso, li osservo affondare il muso tra il terriccio caldo e il vermi gonfi, ma oggi mi hanno guidato in una particolare scoperta.
Da circa un mese ho iniziato queste mie spedizioni e già dal primo giorno ho individuato un gruppo di randagi, quattro, a volte cinque e di razza indefinita, ma come al mio solito non riesco a condurre un’indagine che non sia personale, quindi ho dato un nome ad ognuno di loro.
Tancredi, Enea, Bernice, Alma e Didone.
Tancredi è un bastardino di taglia piccola, ha un rapporto nevrotico e assassino con l’erba ma mi sembra un tipo sincero e autoritario, proprio per questo gli ho conferito, fin dal primo momento, l’onore di capobranco.
Enea e Bernice sono forse figli dello stesso padre pirata – un altro bastardo dal muso affusolato e con le orecchie appese che vedo ogni mattina mentre mi trascino a lavoro, ramingo e sgraziato si aggira intorno alle sette vicino ai cassoni dell’umido – ma i due in questione devono essere nati da diverse sue avventure. Sta di fatto che Enea ha conservato la proporzione e le forme simmetriche della madre, con ogni probabilità una signorina di città alla quale l’avranno strappato, prima ancora che potesse ricordarne l’odore, per concederlo ai capricci di un bambino il cui padre se ne sarebbe disfatto di li a due settimane. Bernice invece è storpia e sproporzionata, proprio come il padre, all’andatura altalenante si abbina poi un pelo bianco, sporco e crespo che stride ancor di più se vicino a quello nero e lucente di Enea.
Mi sono convinto fin da subito che Alma da poco avesse compiuto il suo rito iniziatico nel gruppo, secondo le logiche estreme e rigidissime del branco infatti – simili a quelle degli stormi e degli alveari – nel suo deambulare incerto ella rimane rigorosamente alla fine del corteo, ma la sua urina contamina fiori, alberi e pneumatici sempre per prima, di modo che tutti gli altri possano poi neutralizzarla con la loro in un atto di estrema e meccanica superiorità, la quale non ha nulla a che vedere però con il disprezzo o la prepotenza ma che segue logiche segrete e nascoste ai nostri occhi umanoidi.
Didone, la bianca pastora, non è sempre presente quando ogni sera mi appare la loro prima visione corale, e ad esser sincero i suoi brevi periodi di assenza a me risultano tanto ingiustificati da arrivare a farmi perdere inspiegabilmente la pace e il sonno.
Ma oggi, come una foglia si stacca dal ramo, Didone – dopo un improvviso scatto che la separa dal branco – ha diretto il suo naso giù nel boschetto; inutile dire che non ho dovuto combattere a lungo contro me stesso per precipitarmi anche io nel verde groviglio, abbandonando istantaneamente il sentiero alle mie spalle.
Ed ecco che, affannandomi per rintracciarla e non perdermi neanche una delle sue prodezze, ho avuto la mia dose di epifania quotidiana, una rivelazione, la mia, innescata da nulla e prodotta per caso, scesa dal cielo – o venuta dal profondo della terra non saprei dire -.
Pensavo i cani avere attenzione per tutto indistintamente, nella loro frenesia giullaresca scatenata dall’incontro con ogni libellula, nel loro patologico collezionismo per ogni lucertola morta sotto il sole o pettirosso deluso nel volo o ossa di varie forme e dimensioni; li immaginavo, dico, in una ricerca quasi capillare, in una missione scientifica ma inconsapevole. Per i miei occhi pietosi la loro era una sete di scoperta, un bisogno di comprendere che spinge il loro sguardo assente oltre il limite che il buon dio ha concesso loro.
Poi ho capito: i cani, come i bambini, hanno attenzioni selettive non casuali, non sono alla scoperta di nulla perchè sono già inseriti nel ritmo della natura. Conoscono anche se non sanno e comprendono anche se non capiscono, e mentre noi ci affanniamo a scavare e graffiare i più profondi enigmi della nostra mente, essi seguono un filo d’arianna privilegiato e segreto: ecco l’arcano mistero della grazia.
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