Il 16 giugno è uscito a sorpresa Everything is love, il nuovo album della coppia Beyoncé e Jay Z. Ad accompagnare il disco, il singolo Apeshit, il cui video è stato girato in una location tutt’altro che banale. Un po’ di tempo fa era trapelata la notizia che la coppia, in visita a Parigi, avesse avuto il privilegio di un’esclusiva visita notturna al museo più celebre della Ville Lumière, ma nessuno immaginava che i due avrebbero girato il loro nuovo videoclip proprio al Louvre.
Dal principio appare subito chiaro che non sono le opere d’arte le protagoniste del video, bensì Loro: i Carters, il capolavoro del XXI secolo, in grado di relegare in secondo piano persino la Gioconda. Un evidente intento autocelebrativo, confermato anche dal testo della canzone (“I can’t believe we made it, this is what we’re thankful for”), ma, a ben guardare, forse anche qualcosa di più.
Un video che si presta a due diverse interpretazioni: la prima rimane perplessa sulla portata dei contenuti, liquidando l’opera come una semplice dimostrazione del raggiungimento di uno status quo, l’esibizione fine a se stessa di un privilegio ottenuto grazie al successo. La seconda invece intravede dietro alla rappresentazione un intento di rivalsa della comunità nera, finalmente al centro della scena e non più relegata a rivestire i ruoli di schiavi o paggi ai lati dei grandi personaggi della storia.
Non solo scena
Senza dubbio il video è frutto di scelte ben precise. Le più evidenti sono le scelte estetiche, in base alle quali i colori degli outfit della coppia e dei ballerini sono abbinati alle opere d’arte alle loro spalle: vengono infatti scelti abiti color pastello per posare di fronte alla Gioconda, abiti bianchi per la Nike di Samotracia, pelle marrone per la sfinge egizia di Tamis e così via. Oltre agli abiti c’è però qualcos’altro. Ci sono scelte di montaggio e composizione, abbinamenti d’immagini che vanno al di là della mera ostentazione di ricchezza e potere, dando vita a simbolici accostamenti e contrasti tutt’altro che casuali.
Il ragazzo di colore della scena iniziale, rannicchiato in cima alle scale del museo con jeans strappati e un paio di ali sulla schiena, richiama la Nike di Samotracia inquadrata qualche scena più avanti, bianca e fiera sopra al suo piedistallo. Le ballerine, da un’iniziale stasi che le rendeva quasi statuarie, sembrano prendere vita e risvegliarsi, con sinuose coreografie. Così Beyoncé si ritrova a ballare davanti all’incoronazione di Napoleone, uno dei simboli del colonialismo francese, sovrapponendo la sua immagine sensuale e fiera a quella di una sottomessa Giuseppina Bonaparte, inginocchiata ai piedi del marito. Un altro accostamento interessante è quello con la Venere di Milo, simbolo dei canoni di bellezza classici, confrontati con la sinuosità del corpo della cantante. Infine, numerosi i riferimenti alle condizioni di marginalità in cui venivano relegati i neri nelle rappresentazioni, rivestendo per lo più il ruolo di schiavi o paggi, come ad esempio le due ballerine inginocchiate ai piedi di Madame Récamier di Jacques Louis David.
In questo senso il videoclip appare come un climax di liberazione, in cui via via queste figure sembrano acquistare sempre più autonomia, importanza e centralità. Liberazione di cui i Carters sono senza dubbio i pionieri, imponendosi monumentali davanti alle opere e quasi oscurandole con la loro sfacciataggine.
Un videoclip che sembra quindi voler comunicare qualcosa in più del semplice “guardate quanto siamo bravi”. Certo l’eccessivo esibizionismo della coppia forse fa sorgere qualche dubbio a riguardo, ma non si può certo pretendere che la regina del pop rinunci al suo marchio di fabbrica.