Dum luquimur, fugerit invida aetas: carpe diem, quam minimum credula postero.’’
‘’ Mentre parliamo è già fuggito il tempo invidioso: cogli il giorno, confidando il meno possibile in quello che verrà’’Orazio, Carmina I, 11
Carpe diem, «cogli il giorno» nella traduzione letterale, poi stabilizzatasi nell’espressione più famosa di «cogli l’attimo», è un verso dell’Ode I del poeta latino Orazio (I sec. a.C.). È una citazione ormai logorata dall’uso comune, ma sempre attuale nella sua potente ambiguità interpretativa.
Che significa infatti cogliere l’attimo? È un lasciarsi liberamente andare nella vita vivendo un presente consapevole, senza mai abbandonarsi a rievocare un passato da trascinare come una inutile zavorra? Oppure è vivere nell’attesa passiva o attenta a cogliere le occasioni di un accadimento che ci porta il tempo presente, per condurci in un futuro improbabile?
Orazio sembra invitarci a godere dei piaceri che la vita ci offre, ad apprezzare quello che viviamo nel momento presente e quindi ci indirizza verso ciò che di meglio ci può compiacere con quello che già abbiamo. Confidando il meno possibile nel futuro, Orazio vuole forse suggerirci la sfida alla morte, così inevitabile, per toglierle il suo privilegio di cancellare le nostre aspettative? Oppure ci consiglia di depotenziare le nostre proiezioni illusorie sulle azioni che costruiscono il futuro?
Pensare al presente come se fosse l’ultimo dei nostri giorni ci può preservare dall’inquietudine di una vita spesa alla ricerca febbrile della felicità fatta di speranze e di attese frustrate? Oppure questa riflessione ci può spingere fino al paradosso di un assurdo e indolente “aspettando Godot” di beckettiana memoria?
Sono tutte questioni interessanti per astrarci un po’ dal nostro concreto flusso esistenziale che oggi viene sempre più riempito, in ogni suo spazio-tempo, da un continuo fare e un esserci sempre meno consapevole. Siamo attratti e incantati dalle “Mille e una notte” di una Sherazade che ci proietta verso desideri, spesso virtuali, che non si appagano mai. Assorbiamo come spugne digitali, dentro le nostre memorie cognitive di breve o di lunga durata, progetti, intenzioni, roadmaps, programmi, ambizioni e sentieri esistenziali che ci indicano strade labirintiche verso il futuro.
Oppure, siamo oscuri oggetti del desiderio altrui di cui imitiamo inconsapevolmente le volontà? Senza prefigurare scenari orwelliani da Grande Fratello, pur nell’attuale illusoria libertà di conoscenza del mondo, certamente l’uomo ha ridotto la sua sfera di vita essenziale, autentica e spirituale. Intrigati dalla girandola delle necessità superflue e inutili, dei luoghi comuni e dei desideri imitativi, non ci soffermiamo quasi mai a cogliere il nostro attimo, riscoprendone la sua bellezza incondizionata.
Tutto questo ci porta alla deriva tra i detriti di un “usa e getta esistenziale”, frutto dell’abuso delle “occasioni da non perdere” che alla fine ci rende solitari e inautentici. Oppure rincorriamo tutte le “occasioni mancate” che mai si ripresentano e che ci consumano psichicamente e fisicamente.
Di questo scenario, così poco percepito nelle sue dinamiche sociali, sono spesso i poeti o i mistici a coglierne la tragicità con maggiore consapevolezza. Si vedano, per esempio, le intuizioni e i versi del poeta Constantinos Kavafis, che invita a non sprecare la vita e a non lasciarsi intrappolare dai suoi falsi miti e dalle opinioni che offuscano la nostra voce interiore.
«E se non puoi la vita che desideri
cerca almeno questo per quanto sta in te:
non sciuparla nel troppo commercio con la gente
con troppe parole e in un viavai frenetico.
Non sciuparla portandola in giro
in balìa del quotidiano gioco balordo
degli incontri e degli inviti
fino a farne una stucchevole estranea.»
Tuttavia, tornando all’esortazione di Orazio di cogliere l’attimo senza pensare troppo al domani, essa può essere intesa anche come indicazione a costruire in modo sereno e quotidiano la propria esistenza futura. Il suo messaggio rimane quello di sfruttare le occasioni che il presente ci pone davanti nell’immediato ma solo quelleche possano essere in sintonia con le aspettative, la direzione e il senso che vogliamo dare alla nostra vita.
Va inoltre considerato che l’uomo aspira anche a grandi speranze, grande immaginazione, grandi illusioni e utopie che lo trascinano inevitabilmente nel futuro. Quando le sue tensioni verso un ideale sono pure, queste energie possono infatti conquistare importanti risultati, costruiti con estrema determinazione e profetica visione dell’avvenire, oltre ogni ragionevole possibilità.
Quindi che fare?
Forse il vero carpe diem è rimasto nel tempo del pensiero che dedichiamo a noi stessi per cogliere l’essenza di ciò che siamo e cosa davvero vogliamo.
FONTI
Orazio, Odi ed Epodi, Feltrinelli, 2010.
K. Kavafis , Settantacinque poesie, Einaudi, Torino, 1998.