Ogni casa di haute couture che si rispetti conta nelle proprie collezioni più iconiche e memorabili almeno una regola infranta o due. Una regola che solitamente, invece, viene sempre rispettata è quella dell’eccesso: più spettacolari ed irriverenti sono le collezioni, più indelebile sarà il segno che lasceranno, e lunga la scia di imitatori che si trascineranno dietro. È anche la norma che, di stagione in stagione, gli atelier mettano in passerella molti look, composti da un gran numero di pezzi, che raramente vengono proposti per più di un cambio d’abito.
Ma nella storia della moda c’è anche chi è andato nella direzione opposta, scegliendo di proporre collezioni che al meglio incarnassero lo spirito del minimalismo per eccellenza, sia per disegno e forma dei modelli che per numero di capi scelti.
Così ha fatto Donna Karan, che nel 1985 ha lanciato la sua collezione Seven Easy Pieces, riportando in auge il concetto di capsule wardrobe sviluppato da Susie Faux negli anni ‘70.
Al debutto della collezione, in passerella sfilavano otto modelle, inizialmente abbigliate solo con un body nero e dei collant. Proseguendo, venivano man mano aggiunti altri pezzi, costituendo una miriade di look diversi a seconda dei capi e del numero di strati indossati dalla modella.
Così, con il solo aiuto di una gonna, un pantalone, un blazer, un maglione di cashmere ed una camicia bianca, Donna Karan dette vita ad un intero guardaroba, realizzato pensando alla figura della donna in carriera, che potesse assemblare a piacimento i pochi capi del suo capsule wardrobe.
L’idea dietro gli Easy Pieces era proprio che questi sette capi, versatili quanto basilari, potessero permettere ad una donna di fare qualsiasi cosa. Quintessenza del minimalismo, i Seven Easy Pieces di Donna Karan sono stati rivoluzionari per un mondo femminile che si allontanava sempre più dagli stereotipi di genere. Erano infatti anni in cui l’emancipazione femminile raggiungeva l’apice, condizionata dalla seconda ondata del movimento femminista.
In un’epoca in cui le donne in carriera non erano più un’eccezione in un mondo lavorativo dominato da uomini in giacca e cravatta, si era creato un vuoto nel mercato