La prematura morte di Thomas Bernhard segnò un profondo vuoto all’interno del panorama letterario austriaco, che ben presto realizzò il ruolo di rilievo internazionale di cui godeva l’autore; Bernhard fu nella lista dei possibili vincitori del premio Nobel prima di esser stroncato da un infarto nel 1989. Ma a differenza da quanto si potrebbe pensare (o forse sì, leggendo le sue opere), Bernhard non fu affatto un “facile profeta” in patria, con la quale ebbe piuttosto un rapporto sempre reciprocamente critico.
La maggior parte delle sue opere sono infatti ambientate quasi unicamente in Austria, tra Salisburgo e Vienna, città definita molte volte tra le pagine dei suoi numerosi romanzi come la più “sporca” d’Europa. Ovviamente Bernhard non si riferiva unicamente al livello di “ordine” e pulizia, tutt’altro: egli considerava infatti la propria capitale come il simbolo dell’ipocrisia. Ipocrisia figlia del vittimismo con il quale gli austriaci si “lavarono la coscienza” della tragedia nazista, ritenendosi “i più sfortunati” e non i “primi alleati” del terzo Reich.
Antichi Maestri (1985), il penultimo romanzo di Bernhard, è forse il più emblematico e quello che meglio rappresenta il rapporto dello scrittore con la città viennese. La fabula è molto semplice da riassumere e anche per questo motivo il romanzo fu tacciato di vuoto nichilismo, “fine a se stesso” secondo i nemici del drammaturgo.
La peculiarità del romanzo è la totale assenza sia di descrizioni sia di dialoghi. Dei tre personaggi non ci vengono dati i loro tratti fisici se non quello del severo sguardo dell’Uomo dalla barba bianca (che non è quello cantato da Al Bano e Romina Power nei Cigni di Balaka, in questo caso rivolgersi a Michael Jackson). Ma tra i personaggi non avvengono neanche veri e propri dialoghi. Antichi Maestri è infatti un lungo, lunghissimo monologo di Reger, che non si spreca a denunciare il marcio dell’arte novecentesca; tutto ciò da una parte ha contribuito al nichilismo del romanzo stesso ma dall’altro canto non potrà restituire l’amore ormai perduto con la morte moglie. Con uno stile ossessivo, una sorta di discorso “diretto libero” che si avvicina molto più a Saramago de Le Interferenza della Morte piuttosto che all’Ulisse joyciano.
Così come per l’Aschenbach di Thomas Mann, la vita dell’anziano Reger ri-comincerà solo al termine del libro, che simbolicamente coincide anche con la propria morte.
FONTI
Storia della letteratura tedesca di Anton Reininger, Torino, Rosenberg & Sellier, 1986