DOSSIER| Storie di modernità: il controllo delle nascite a Puerto Rico (1898-1960)

La tematica della modernità può risvegliare, a seconda dei punti di vista soggettivi, connotazioni positive o negative. Alcuni infatti attribuiscono alla modernità un carattere “innovatore”, secondo quel processo evolutivo che permette, nei numerosi ambiti della cultura umana, di raggiungere nuovi stadi superando i limiti del passato. Altri invece vedono la modernità con gli occhi del “si stava meglio prima” e della “perdita dei valori”.

Un curioso ambito di interpretazione duale del tema della modernità si può individuare nella storia di Puerto Rico, l’isola caraibica che nel 1898 entra sotto l’influenza degli Stati Uniti e che, da quel momento, verrà spesso definita “laboratorio sperimentale”. All’interno dell’isola sono state attuate importanti politiche di controllo della natalità, che passano dalla sterilizzazione e dalla sperimentazione dei primi farmaci anticoncezionali.

Per quanto riguarda la sterilizzazione, questa viene legalizzata nel 1937; nell’arco di circa 30 anni tale pratica interesserà circa il 35% delle donne (sposate o in unione consensuale), attribuendo pertanto all’isola il primato per l’esecuzione di questo intervento. Gli studiosi, in merito alla sterilizzazione, evidenziano il ricorso alla stessa anche nella cornice dell’assenza di metodi contraccettivi di facile accesso, vietati dalla Chiesa cattolica. La pratica diventa così diffusa e comune tra la popolazione da essere comunemente chiamata La Operación.

Sull’effettiva volontarietà di sottoporsi a tale intervento il dibattito è ancora oggi acceso, anche in ragione delle testimonianze raccolte nel tempo, le quali evidenziano la scarsa informazione sulla procedura e sulla sua irreversibilità. La sterilizzazione attira l’interesse pubblico come quello individuale, soprattutto in ragione delle politiche di contenimento della popolazione imposte dal governo e fortemente influenzate dalla condizione di semicolonia dell’isola.

Tuttavia, se a primo impatto la situazione appare come un’imposizione del dominio statunitense, i documenti permettono di individuare una seconda interpretazione: emerge infatti che il modello two child family tipico della cultura USA, al quale si accompagnava tutto un disegno di “prosperità e apertura”, rappresentava per molte donne portoricane, così come per gli operatori sanitari locali, un obiettivo da raggiungere a ogni costo. La sterilizzazione si rivela quindi l’unico strumento possibile, familiare e fortemente voluto.

Tale ambivalenza nell’approccio alla Operación si registra anche nella rappresentazione mediatica della sterilizzazione, caratterizzata dalla forte polarizzazione tra le due interpretazioni.

A partire dagli anni ’50 vengono poi avviate le sperimentazioni della pillola anticoncezionale, sempre all’interno dell’isola caraibica; i rigidi parametri della Food and Drug Administration (FDA) non permettevano infatti di sperimentare il farmaco all’interno del territorio degli Stati Uniti. Il progetto imponeva la ricerca di soggetti disposti a sottoporsi agli studi; considerate le resistenze morali e giuridiche, in un primo momento si individuarono donne disposte a sottoporsi alla sperimentazione per fini inversi, cioè aumentare la fertilità, le quali avrebbero indirettamente fornito dati opposti per inibire il processo di ovulazione.

Puerto Rico viene identificata quale luogo di sperimentazione ideale; diventata nei primi anni ’50 “Stato Libero Associato” agli Stati Uniti, questa particolare connotazione giuridica permetteva di soprassedere ai divieti dell’FDA poiché, appunto, non si tratta di uno Stato parte della confederazione. L’isola possiede ulteriori elementi considerati favorevoli, quali l’elevata densità popolare, la vicinanza geografica e l’assenza dei mass media statunitensi, nonché la mancanza di istituzioni assimilabili al FDA.

Nel 1956 inizia il reclutamento delle volontarie portoricane per la sperimentazione del farmaco Enovid, una pillola per la regolazione del ciclo mestruale. I dati testimoniano che il quantitativo ormonale all’epoca superava tra le venti e le quaranta volte quello degli attuali contraccettivi; pochi mesi dopo l’inizio del progetto iniziano le defezioni, in particolare per nausea, emicrania e dolori addominali.

L’abbandono progressivo del programma ha portato, nel giro di pochi mesi, ad aprire un simile esperimento ad Haiti, paese con legislazione di controllo e garanzia dei pazienti anche più inferiori di Puerto Rico. Raggiunta la quantità di dati desiderata, il farmaco poteva ambire alla commercializzazione.

Benché lontani dai media USA, i ricercatori dell’epoca non hanno sufficientemente preso in considerazione i mass media locali: numerose sono state infatti le accuse di razzismo, sperimentazione su donne portoricane come “cavie” e demonizzazione degli effetti collaterali.

Nell’estate del 1957 la FDA approva Enovid, farmaco ufficialmente utilizzato per regolare il ciclo mestruale; tre anni dopo verrà resa nota la finalità contraccettiva del prodotto.

Le pratiche di sterilizzazione e sperimentazione della pillola anticoncezionale possono apparire a prima vista come un’operazione unilaterale eseguita da una superpotenza, con l’imposizione coercitiva a soggetti indifesi e disinformati di operazioni per nulla rispondenti alle necessità locali. Soprattutto il movimento femminista portoricano leggerà il fenomeno come esercizio di potere asimmetrico.

La questione che porta gli studiosi oggi a interrogarsi su tali vicende ruota attorno alla comprensione dei meccanismi che hanno portato a raggiungere tassi decisamente elevati di sterilizzazione tra le donne portoricane, in quanto si indagano le forze che hanno modellato i desideri e le preferenze delle donne che hanno scelto di sottoporsi all’operazione.

I recenti studi in argomento permettono di evidenziare diverse sfumature rispetto all’interpretazione anti-imperiale dominante nella storia portoricana; il femminismo statunitense, giunto sull’isola anche attraverso scienziate e biologhe fautrici della sperimentazione, sembra non essere percepito come minaccia coloniale ma, al contrario, come un modello di modernità decisamente attraente.

A seconda della prospettiva adottata nell’analisi della vicenda, si possono quindi leggere le diverse interpretazioni di chi vede nel controllo delle nascite una ingiusta esercitazione del potere coloniale statunitense e chi, al contrario, vi scorge un’opportunità di limitazione della povertà e una maggiore libertà sessuale. Ovviamente, entrambe le chiavi di lettura vengono intaccate da un fondamentale problema all’interno della vicenda, vale a dire la totale disinformazione delle donne che hanno preso parte a entrambi i progetti. Fermo questo punto, gli studiosi suggeriscono un ammorbidimento dell’etichetta “politiche genocide” imposte dagli Stati Uniti, in favore di ulteriori spunti di riflessione e approfondimento.

 


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