“Degli ottantuno anni della sua esistenza, Nadežda Mandel’štam (l’amica mendicante come la chiama Osip) ne ha vissuti diciannove come moglie e quarantadue come vedova del più grande poeta russo di questo secolo.”
Così inizia il “necrologio a Nadežda” di Iosif Brodskij raccolto in Fuga da Bisanzio (1987, Adelphi) assieme ad altri straordinari saggi dedicati dal poeta vincitore del premio Nobel 1987 alla “sua” Russia.
Tra le pagine di Brodskij (1940 – 1996), che passò gli ultimi anni della sua vita “esule” negli Stati Uniti, le più commoventi sono quelle legate al ricordo di Nadežda Mandel’štam (1899 – 1980), la moglie del poeta Osip, considerato da molti, tra cui lo stesso Brodskij, “il più grande poeta russo* del Novecento.
Se oggi i bellissimi versi di Osip Mandel’štam (1891 – 1938) brillano ancora tra le nostre mani, molto lo si deve a Nadežda, la quale imparò a memoria le poesie del marito quando questi fu vittima delle grandi purghe e le sue opere sparirono completamente dalla circolazione.
(La canzone dei Marlene Kuntz dedicata a Nazezdha)
Nel 1910 Osip Mandel’štam fondò il movimento letterario Acmeista assieme ad Anna Achmatova e suo marito (di lei) Gumilëv, poeta fucilato nel 1921 con l’accusa di essere un controrivoluzionario. Durante la rivoluzione sovietica Mandel’stam conobbe Nadežda Jakovlevna Chazina, una “colta, intelligente, esile ma energica ragazza ebrea” che sposò nel 1922.
Ben presto Nadežda entrò nei circoli acmeisti divenendo una grande amica di Anna Achmatova, la tanto amata “maestra” di Brodskij.
Con l’avvento dello Stalinismo però a Mandel’štam non fu più permesso di esprimersi, tanto che in Unione Sovietica le sue opere rimanevano accessibili soltanto in copie manoscritte. Mandel’štam non fu l’unico artista che si vide relegato al “ergastolo del silenzio”, una sorte analoga capitò anche a Bulgakov (ne abbiamo parlato qui: link)
Se le prime poesie di Mandel’štam avevano una dimensione intima e classicheggiante, la frustrazione lo spinse sulla via della protesta attraverso le sue ultime opere.
Nadežda rimase accanto al marito anche nella miseria nella fino a quando nel 1933 Osip compose una poesia, il famoso Epigramma a Stalin, nel quale esternò tutto il suo disprezzo contro il dittatore Stalin che, venutone a conoscenza, fece immediatamente arrestare e deportare il poeta.
La vita di Mandel’štam si spense qualche anno dopo in un gulag a Vladivostok, al confine con l’estremo oriente e con la Cina. Tuttavia Nadežda (che in russo significa “speranza”) continuò clandestinamente a conservare ogni “verso, ogni miracolo” della “maestà poetica” del suo amato Osip nella speranza di un suo ritorno. Le memorie sono raccolte nei libri L’epoca e i lupi (1971) e Le mie memorie (1972).
Per la successiva generazione di artisti russi (tanto in Brodskij quanto a suo modo nella Sots-art) l’esempio di Nadežda incarnò il valore della “libertà individuale e artistica” contro i regimi totalitari, in particolare modo quello sovietico.
Brodskij nel suo necrologio sottolinea come “imparare a memoria significa ripristinare l’intimità”. Questa intimità, il solo e unico legame rimasto divenne lo scopo nella vita di Nadežda. L’ultimo desiderio fu quello di morire nel suo letto così da raggiungere “il suo Osip”, cosa non da poco per la moglie di un “nemico dello stato”.