Cattiva Informazione Ossessione Privacy

La cattiva informazione e l’ossessione per la privacy

In questi giorni, entrando su social come Facebook e WhatsApp o aprendo la posta, probabilmente si sarà notato quanti messaggi ci sono da importanti realtà quali Google, Apple, Microsoft e qualsiasi newsletter o servizio Web a cui ci si sia iscritti, che avvisano di importanti modifiche riguardo alle politiche sul trattamento dei dati personali. È per l’entrata in vigore del nuovo regolamento europeo sulla privacy, il cosiddetto GDPR (General Data Protection Regulation), che in Europa costituirà la nuova normativa di riferimento a partire dal 25 Maggio.

La crociata per la tutela della privacy quando si naviga sul Web o si usano determinati servizi informatici è partita da cause sacrosante e più che legittime, ma è spesso degenerata in soluzioni peggiori dei problemi che avrebbe dovuto risolvere. La cookie law ha creato solo inutili alert sui siti web e non ha cambiato nulla nella sostanza, anzi ha permesso, ora che c’è l’esplicita autorizzazione dell’utente, di spingere ancora di più sull’uso dei cookie, che poi in realtà non è che contengano chissà quali informazioni secretate. Del resto alcuni (e tra questi molti legislatori) ancora pensano che la profilazione online sia qualcosa di simile al controllo paranoico proprio dei regimi totalitari della galassia marxista-sovietica, come ha ben raccontato il film Le vite degli altri. Il caso Cambridge Analytica ne è un ottimo esempio, con le reazioni esagitate e a tratti grottesche per una pratica, la pubblicità targettizzata, che è alla base del marketing contemporaneo, di qualsiasi natura esso sia. Il problema è molto più a monte e riguarda il modello di business che Internet si è praticamente visto costretto ad adottare. È comprensibile che il mondo progressista, abituato a considerare il lavoro culturale e intellettuale come qualcosa di gratuito e finanche dovuto, abbia difficoltà a comprendere che la gratuità è impossibile e i dati profilati anonimamente sono la migliore modalità con cui Internet può garantirsi le indispensabili entrate per sopravvivere e fare (talvolta enormi) guadagni, com’è ovvio e necessario. Un altro mondo era possibile, ma si è partiti con il piede sbagliato e ora è molto difficile far entrare nel grande pubblico del Web la logica che pure i servizi online richiedono lavoro, e questo si deve pagare: gli store dei principali sistemi operativi mobile lo dimostrano eloquentemente.

In un simile panorama stupisce come nessuno avverta mai l’ipocrisia di essere ossessionati per la propria privacy, come se si avesse chissà cosa da nascondere (e a chi poi?), e di trastullarsi in tutta quella informazione spazzatura che è alla base del giornalismo mainstream, abituato, inventando sottigliezze deontologiche degne dei migliori teologi bizantini e tirando in ballo perfino le necessità della democrazia, a non farsi nessuno scrupolo di fronte a documenti acquisiti illegalmente o addirittura a farsi strumento in operazioni di killeraggio mediatico, ovviamente senza mai pagarne le conseguenze grazie al diritto alla libertà di stampa. Oggi i signorotti feudali del mondo postmoderno non hanno bisogno di assemblare un esercito per combattere le proprie battaglie. La stampa, con la compiacenza interessata di settori più o meno deviati delle varie magistrature, è lo strumento ideale: “calunnia, calunnia, qualcosa resterà!” è il loro grido di battaglia. Le trascrizioni di intercettazioni che dovrebbero essere secretate finiscono sempre sui giornali, lì dove si svolgono i veri processi: poco importa che molti di quegli scandali, etichettati in Italia con i vari -poli, finiscano poi in un nulla di fatto nelle aule di tribunale. Polizia e Magistratura hanno mai fatto davvero qualcosa per contrastare la fuoriuscita di documenti che avrebbero dovuto restare segreti per le indagini o per i dibattiti giudiziari, di cui anzi spesso abbiamo trascrizioni dettagliate anche in casi di processi a porte chiuse? Alcune testate si sono spinte fino a riesumare la pratica, moralmente esecrabile, dell’agente provocatore e così spingono addirittura a commettere crimini che altrimenti non avrebbero avuto luogo, pur di fare un po’ di notizia, coinvolgendo preferibilmente qualche celebrità politica o istituzionale: in questo caso la privacy sarebbe l’ultimo dei gravi problemi che evidentemente il mondo giornalistico, coprendosi dietro a bizantinismi, non ha mai pensato di affrontare.

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