Dire editoria non significa dire solo ponte, medium tra scrittura e lettura, ma anche dire un certo tipo di ciclo industriale tipografico che arriva poi ad certo tipo di mercato non localizzato.
Retrodatare il termine comporterebbe attribuirgli un significato che non ha, lo stesso infatti non era ancora in uso nella stampa umanistica, cinquecentesca e barocca; è solo dopo l’unità, con l’avvento di quella che può definirsi “prima generazione”, che inizia il cammino dell’editoria vera e propria.
Una corsa verso la modernità quella del panorama editoriale della prima generazione, che vede come protagonisti personaggi intraprendenti che hanno compreso l’importanza di allontanarsi dal ruolo di capo bottega, tipografo, artigiano per investirsi invece di un ruolo culturale, politico ed imprenditoriale. Tra la spinta positiva di una percentuale di analfabetismo sempre più bassa, grazie alla borghesia che iniziava ad imporsi come nuova classe sociale, e superando poi gli ostacoli delle disastrose contingenze storiche, partiamo da Edoardo Sonsogno ed Emilio Treves negli anni sessanta dell’ottocento, per arrivare a Mondadori ed Einaudi nei primi anni trenta del novecento.
Possiamo entrarci in quel mondo, immergerci nell’atmosfera delle sedute del mercoledì da Einaudi, dove numerosi intellettuali partecipavano ad un impresa che ormai era divenuta collettiva, che vedeva l’editoria come uno strumento per creare una cultura nazionale, andata ormai in pezzi dopo la guerra o mai realmente esistita.
Il passaggio che dagli anni cinquanta ci porta verso la seconda generazione è fulmineo, a capofitto ci immerge nella cultura dei mass media, vale a dire in un sistema mediale articolato dove l’editoria deve crescere insieme a nuovi elementi di comunicazione.
Ma come ebbe il coraggio di notare lo stesso Italo Calvino, la centralità del romanzo ottocentesco, la centralità della scrittura e con essa dello scrittore erano ormai andate perdute: la Televisione incoronava definitivamente la cultura dell’immagine.
Quella della televisione che toglie lo scettro alla penna è solo una delle prime scene attraverso le quali possiamo osservare il mondo editoriale cambiare inesorabilmente.
Gli editori tradizionali, quelli di cultura, gli editori che ormai erano un tutt’uno con gli intellettuali perdono autonomia e in gran parte dei casi perdono anche il controllo delle loro case editrici. Sostituiti da manager di marketing, che fanno sempre e comunque riferimento a grandi gruppi industriali, si ritrovano nel gradino più basso di un sistema gerarchico che da orizzontale è diventato verticale. L’esempio del gruppo IFIL-FIAT o del gruppo Finivest di Silvio Berlusconi sono solo due esempi di come la cultura tende a diventare merce di scambio durante tutti gli anni 80.
Ed ecco poi che ci vediamo entrare nella Terza Generazione, quella ancora in corso, che ci accompagna verso la post-modernità.
In questo modo il prodotto può saltare sia il processo distributivo sia quello industriale, immergendosi con gli anni novanta nel mondo dell’informatica e di internet può essere fruito ovunque, e dalla carta stampata si conduce l’editoria verso cd, dvd, ebook.
Dalla concorrenza dei media dunque, che continuavano a schierarsi su fronti distinti, si passa alla transmedialità; e la crisi, innestata dalla guerra delle comunicazioni, porta il mondo ad una dimensione fluida in cui ogni media si serve dell’altro.
Molto più velocemente di quanto possa sembrare ci muoviamo verso la Quarta generazione, non sappiamo cosa ci attende, probabilmente un tipo di editoria su richiesta, privata, dove anche i ruoli canonici perderanno il loro significato.