Contiene SPOILER
Cinico, crudele e maledettamente realistico. Il nuovo film del regista romano Matteo Garrone spopola nei cinema d’Italia e conquista il Festival di Cannes. A spiccare sono l’avvincente storia, liberamente ispirata ad un fatto di cronaca nera avvenuto a Roma nei tardivi anni ’80, la dolcezza spontanea dell’attore protagonista Marcello Fonte, premiato come miglior attore al festival francese, e la regia precisa e tagliente di Garrone, uno dei migliori talenti del cinema italiano. Dogman è una pellicola fuorviante che mescola la crudezza veritiera del cinema neorealista al cinismo spietato tipico delle opere di Pasolini, senza per questo trascendere lo stile autoriale che caratterizza le opere del regista di Gomorra.
Persona mite e tranquilla, Marcello possiede un negozio di toelettatura per cani in un quartiere periferico di un grande centro urbano. Monotone le sue giornate, alternate tra il piacevole lavoro, momenti di gioia trascorsi assieme alla figlia Alida e uno ambiguo rapporto di sudditanza instaurato con l’ex galeotto Simoncino, il quale terrorizza gli abitanti del quartiere per mezzo di violenze e intimidazioni di ogni tipo. Marcello, dopo una serie ripetuta di soprusi e angherie da parte del delinquente, comincia in sordina a meditare vendetta spingendosi laddove nessuno mai ha osato. Prendendo spunto dal terribile omicidio del Canaro del 1988, che pietrificò l’Italia per via dell’efferatezza con la quale si era consumato il crimine, Garrone ribalta la concezione della storia originale omettendo numerosi importanti particolari – i dettagli dell’uccisione di Simoncino – per focalizzarsi maggiormente sull’umanità del suo protagonista, reso nel film una macchietta al servizio dell’ingiustizia, e del suo bizzarro rapporto con la vita che conduce. Apparentemente una semplice storia di vendetta, Dogman è un viaggio tormentato nei meandri della psiche del suo protagonista, un racconto disperatamente realistico di un’Italia dimenticata da tutti e perciò in balia di un marcio sistema di sudditanza, in cui il più forte e spietato, Simoncino, prevale barbaricamente sul più debole e indifeso, Marcello. L’occhio di Garrone scruta attentamente la vicenda utilizzando uno stile asciutto e riflessivo. Lunghe inquadrature fisse esaltano la bellezza fatiscente di luoghi abbandonati a sé stessi e situazioni al limite della sopportabilità.
Messa da parte la spettacolarità scenica, Dogman cerca il realismo più puro ricalcando le orme del bellissimo Non Essere Cattivo del compianto Claudio Caligari. Un realismo veritiero e disarmante che lo erge a favola neorealista e rappresentazione pasoliniana della realtà, slegata da ogni elemento che possa rimandare al puro intrattenimento. Pur rimanendo fedele ad un’ottica realistica, il film di Garrone non è avulso da una componente quasi surrealista che arricchisce e completa l’opera. Surreale è la rappresentazione che il regista fa del luogo dell’azione, un microcosmo che viaggia su un universo parallelo al di fuori del quale la vita dei protagonisti non esiste. Surreale è inoltre la rappresentazione quasi allegorica dei cani e l’importanza che essi hanno per Marcello. Il suo rapporto con Simoncino, sull’estremo finale, tramutatosi in uno scambio di battute tra padrone-animale che relega il protagonista a persona completamente assuefatta dalla propria disarmante condizione di vita. Il film si chiude con una struggente inquadratura in campo largo che ritrae un profondo scorcio del quartiere e un Marcello triste e meditativo, seduto su una panchina con il suo “bottino” tra le mani, solo e abbandonato da tutti.
Matteo Garrone dirige un film sorprendente e incredibilmente necessario per il cinema italiano dei giorni nostri. Dogman non è solo la summa poetica di un grande autore bensì un’opera profonda e riflessiva che si serve di un fatto realmente accaduto per parlare in chiave realistica della spietatezza, del marciume ma anche della generosa bontà che contraddistingue l’animo umano.