Julius Robert Oppenheimer, realizzatore della prima atomica, scienziato e coordinatore del progetto Manhattan, non rinnegò mai la responsabilità morale del suo risultato. Inoltre affermò chiaramente di non provare sensi di colpa per lo sviluppo delle armi atomiche. All’indomani del suo primo test, “the Trinity”, per la bomba “the Gadget” ad Alamogordo nel deserto del New Mexico, il 16 luglio 1945, citò un verso della Baghawad-Gita, il testo sacro Induista: “Ora sono diventato morte, distruttore di mondi…”.
Nel successivo discorso che tenne tre mesi più tardi lo scoppio delle due bombe atomiche su Hiroshima, “the Little boy”, e Nagasaki, “the Fat Man”, si rivolse a tutti gli scienziati del mondo spiegando le ragioni della necessità di una collaborazione internazionale in relazione al futuro delle armi atomiche. Egli riteneva infatti che fosse un problema che coinvolgesse tutta l’umanità e le comunità degli uomini e degli scienziati.
Secondo Oppenheimer non è possibile essere uno scienziato se non si ha la consapevolezza che il potere della conoscenza e dell’apprendimento abbia un valore per l’intera umanità. Tale potere dovrebbe essere impiegato per diffondere la conoscenza, con la volontà di assumersi le conseguenze che ne derivano.
C’è una testimonianza diretta di Oppenheimer, che dà l’idea di quale fosse il suo pensiero nei confronti della scienza e degli scienziati per un edificante rapporto di lavoro tra loro e la società:
«La scienza in un certo senso è universale. Non nel senso che tutti gli uomini partecipano alla sua edificazione ma nel senso che tutti gli uomini possono parteciparvi. Essa è indipendente dalla nazionalità, dalla posizione geografica e, sebbene non si possa dire dalla cultura, è certo singolarmente indipendente dalla forma di governo, dalla tradizione più recente, dalla vita affettiva di un popolo. Essa ha a che fare con l’umanitas.»
da “Scienza e pensiero comune” conferenza tenuta da J. R. Oppenheimer nel 1953.
Allo stesso modo, dal momento che la scienza è una questione comune, anche le sue conseguenze, come le armi atomiche, sono necessariamente un problema comune, così come lo era stato per gli alleati sconfiggere il nazismo. Oppenheimer sostenne la necessità di trovare un senso di responsabilità collettiva e mise in evidenza il bisogno di impostare una politica atomica internazionale. Proprio perché le armi atomiche erano, e sono tuttora, un motivo di preoccupazione per gli uomini di tutto il mondo, egli riteneva necessario, per fronteggiare questo problema, un senso di responsabilità condiviso dall’intera comunità degli uomini di scienza.
Questo prototipo di collaborazione planetaria rappresentava per questo scienziato un cambiamento nelle coscienze, non solo per fronteggiare il pericolo delle armi atomiche ma a salvaguardia di concetti come quelli di “democrazia” e di un mondo unito in cui non ci siano più guerre. Principi per i quali gli individui sono stati pronti a offrire la propria vita spinti dal legame comune che unisce gli uomini con altri uomini di ogni altra parte del mondo. Per queste argomentazioni la posizione di Oppenheimer, contrario all’imposizione dei segreti militari sulla scienza, fu sospettato e poi accusato di comunismo.
Nel suo discorso alla comunità degli scienziati, il 2 novembre 1945, Oppenheimer antepose quindi l’etica alla scienza quando ricordò ai colleghi che non potevano dimenticarsi di essere uomini e di dipendere in senso strettamente morale dai propri simili. Il valore della scienza deve essere riposto nel mondo degli uomini con cui gli scienziati hanno i loro legami più profondi.
Una parte rilevante nella realizzazione della bomba atomica la ebbe anche Albert Einstein quando indirizzò una lettera, nell’ottobre del 1939, al Presidente degli Stati Uniti d’America, Roosevelt, raccomandando l’appoggio finanziario e l’accelerazione della ricerca atomica.
Successivamente, anch’egli si fece promotore, insieme a Bertrand Russell, della pubblicazione a Londra nel 1955 di un Manifesto per la pace nel quale si informavano le autorità mondiali e il pubblico dei rischi che la corsa agli armamenti portava all’umanità.
Il Manifesto fu sottoscritto in breve tempo da migliaia di intellettuali di tutto il mondo sebbene, purtroppo, da una parte gli scienziati informavano la società civile, dall’altra continuavano a operare nei laboratori di morte.
Sulla questione della neutralità dello scienziato rispetto ai valori, Einstein distingueva i due compiti del lavoratore intellettuale: quello di scienziato e quello di cittadino. Come può lo scienziato che per quanto è possibile conserva un’assoluta oggettività nel suo laboratorio, interessarsi, o addirittura occuparsi, dei giudizi di valore? Come possono gli scienziati conciliare il loro operato con tali giudizi che sono, per loro stessa natura, o di carattere molto soggettivo, se riguardano i loro interessi, o di carattere filosofico, se riguardano le norme etiche o morali?
Oppenheimer, nel suo impegno per il controllo degli armamenti nucleari, compie in maniera più netta una sintesi fra il ruolo dello scienziato e quello del cittadino, attribuendo in tal modo dei giudizi di valore ai risultati dell’attività scientifica. Egli lo fece, quindi, concretamente, con la scelta di opporsi alla costruzione della bomba a idrogeno, la superbomba, ritardandone così la realizzazione, poi effettuata da Edward Teller, e rifiutandosi di trasferirsi a Los Alamos per lavorare su di essa.
Rimane quindi fondamentale la differenza fra informare soltanto dei rischi connessi ai risultati della ricerca scientifica, in particolare in relazione agli armamenti nucleari, e attribuire dei valori alla scienza di cui si fa pratica. La posizione di Oppenheimer é forse la più avanzata rispetto a quella del manifesto di Einstein e Russel, ma di fatto rimase sempre più isolata.
FONTI
Scienza e pensiero comune di R.Oppenheimer, trad. L.Bianchi- L.Terzi, Bollati Boringhieri, 2016