Come ogni arte che si rispetti, anche il cinema ha sviluppato un interesse antropologico rilevante.
In alcuni casi, i registi sono addirittura arrivati a penetrare l’animo umano, estraendone i desideri, le angosce e le paure più profonde restituendo allo spettatore un riflesso impressionante del proprio essere.
Nel generale interesse per l’uomo, i più grandi cineasti non hanno potuto fare a meno di esplorare una delle necessità più naturali seppur curiose di ognuno di noi: il sesso.
Parliamo di curiosità facendo riferimento a tutte le perversioni che si celano dietro l’istinto sessuale, tali da intrappolare l’essere umano in gabbie comportamentali spaventose, arrivando a compiere gesti irrimediabili.
Possibilità del genere sono da sempre succulente per i grandi pittori dell’animo umano, primo fra tutti Pedro Almodovar, maestro dell’immersione nei meandri della psiche.
Tra il lungo elenco dei suoi capolavori spicca Légami (1989), ottava impresa almodovariana narrante la storia di Ricki, (Antonio Banderas) un giovane che ha trascorso gran parte della sua vita in una casa di cura, e Marina (Victoria Abril), attrice pornografica ed ex tossico dipendente.
Uscito finalmente dalla prigione per malati di mente, Ricki incontra l’affascinante e nevortica attrice innamorandosene immediatamente, e decidendo di rapirla per passare il resto della sua vita con lei.
Il sequestro avrà dei risvolti interessanti su cui è importante soffermarsi per comprendere gli intenti registici, in modo da apprezzare il film.
Al primo posto c’è il sesso con tutte le sue dinamiche, infatti il sadomasochismo a cui allude il titolo è solo una delle sfaccettature che assume il rapporto di coppia, in cui non ci sono limiti né fisici né sentimentali. Non a caso sempre quel titolo gioca sul doppio significato che “legami” (Atame nel titolo originale) assume semplicemente spostando l’accento, capace di riferirsi anche alle relazioni stringenti che intercorrono e si sviluppano tra i vari personaggi.
Dunque sesso e amore si abbracciano e si respingono a vicenda, nel film come nella vita, è proprio questo che il regista spagnolo tenta di trasferire sul grande schermo, insieme all’imprevedibilità dei rapporti umani, capaci di trasformare situazioni al limite del plausibile in qualcosa di socialmente tollerabile.
Una breve analisi del film illumina la grandezza del suo genitore, uno tra i pochi artisti capace di aggredire, sconvolgere ma soprattutto commuovere lo spettatore, spesso imbarazzato per la nudità a cui Almodovar è in grado di ridurre l’uomo.
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