Evergreen: il turista del sentimento è tornato

A distanza di quasi tre anni (e di molti momenti di “incertezza e crisi”) Edoardo D’Erme (Latina, 1989), in arte Calcutta, esce per Bomba Dischi con uno dei dischi più attesi del 2018, Evergreen. Prima pagina di Rolling Stones, attenzioni altissime da parte di un colosso come Spotify e un’Arena di Verona già quasi sold out  il prossimo 6 agosto sono lì a testimoniarlo. A dispetto di una simile pressione però, questo disco è stato prodotto su un computer in coppia con Paco Martinelli, amico di Latina, senza cercare l’appoggio di un produttore di grido (come aveva fatto per Oroscopo con THG e Ketra) o di un grosso studio di registrazione. Tutti i titoli sono apparentemente non identificabili con la parola chiave della canzone, come solitamente invece dovrebbe accadere. La ragione è presto svelata: si tratta dei nomi con cui i file demo sono stati salvati prima di essere inviati al distributore, il quale, a detta dello stesso cantante, ha richiesto la tracklist con estremo anticipo (sarà vero?). 

Come nel precedente lavoro, ciascuno dei brani è potenzialmente estraibile e credibile per le radio, per cui ho deciso di parlare brevemente di ciascuno. I singoli che hanno anticipato questo progetto, vale a dire Orgasmo (nel cui video c’è una maglia bellissima) e Pesto, dedicata alla sua ex, quando lui si era già innamorato di un’altra, seguono la falsariga del fortunatissimo Mainstream e in pochi mesi sono già stati certificati oro, sebbene il primo abbia avuto delle difficoltà a passare in alcune radio a causa della parola “scopare”, che arriva “troppo presto”. Lo stile di scrittura è riconoscibilissimo: questo turista del sentimento, giocando sempre sul tema del non detto, è in grado di trasformare in tormentoni pop frasi e parole, come “we deficiente” o “tutte le strade mi portano alle tue mutande”, che di solito non riescono a raccogliere l’attenzione di un vasto pubblico.

Paracetamolo, terzo estratto, è invece un esperimento riuscito solo in parte. Da un lato, il ritornello ti entra in testa non meno dei precedenti, dall’altro, il testo sembra, anche per i parametri di no sense e leggerezza a cui Calcutta ci ha abituati, fin troppo fine a se stesso e campato per aria. Ad aggravare il tutto, un giro di piano geniale, per cui sicuramente starà ricevendo grossi elogi, ma che appartiene al maestro Paolo Conte e alla sua Sparring PartnerHubner inizia con una di quelle frasi di Edoardo, “Venezia è bella ma non è il mio mare” (un’altra è “ti presterò i miei soldi per venirmi a trovare” in Del Verde), riguardo alle quali argomentare serve il giusto. La musica infatti è in fin dei conti emozioni e una simile frase non sarà forse affiancabile al miglior De Andrè, ma strugge in egual misura certe sensibilità e trasmette una genuinità che aiuta ad affrontare le sfide. La stessa genuinità di Dario Hubner, detto il Tatanka, che nel 2001 scelse Piacenza anziché la prestigiosa Premier League per stare più vicino alla moglie.Il ritornello riassume esattamente questo concetto:

“In questo mondo che è pieno di lacrime,

io certe volte dovrei fare come Dario Hubner

e non lasciarti a casa mai a consumare le unghie”

Kiwi esisteva da tempo e il buon Edoardo aveva già fatto riferimento in una recente intervista, quando l’album non era ancora pronto, raccontando di come non riuscisse mai a portarla a termine. Il risultato è più che accettabile. I ritornelli, tra l’altro, sia qui che in Hubner, sono cantati da Francesca Michielin, con cui Calcutta ha scritto il successo Io Non Abito Al Mare.

Briciole sarebbe dovuta entrare in Mainstream e forse ne sarebbe stata all’altezza. Saliva, il cui titolo sarebbe dovuto essere Nei, ha invece ben quattro anni, come Youtube testimonia, ma a quel punto, visto il prodotto finale, forse sarebbe stato meglio tenerla solo sul (deep) web. Nuda Nudissima racconta di un post concerto, di una storia carnale durata solo una sera: breve, ma intensa. Fa caldo in questa canzone, talmente tanto che “sto perdendo tempo e penso che mi va”, ossia il narratore trova difficile anche solo alzarsi dal letto (soprattutto se ci si è sopra in due). Infine, Rai è forse il punto più basso del disco. Qualche mese fa Calcutta è stato ospite di Quelli che il calcio e qui ci sono le sue sensazioni tradotte in versi. Se questa scelta fosse stata fatta per arrivare in totale a dieci canzoni, non ne sentivamo l’esigenza, onestamente.

Il titolo Evergreen è dovuto all’auspicio che questi brani possano diventare dei sempreverde della musica italiana. Il riferimento più chiaro è a Lucio Battisti, come si evince anche dalla bucolica copertina. Ci sono stati titoli meno pretenziosi, diciamo. Se si approfondisce il personaggio però (profili social, interviste, ospitate in radio e TV) come mi è capitato di fare negli ultimi anni, la spiegazione a una simile scelta è piuttosto banale. Questo ventinovenne di Latina quasi non cercava tutta questa popolarità e una volta ottenuta senza alcun tipo di compromesso, ha capito che per continuare a cavalcare l’onda gli bastava rimanere sé stesso. Ben venga quindi 23 euro di CD, un repack già sicuro (per quel momento Da Teo, unico pezzo strumentale, dovrebbe avere un testo), le due sole date estive (c’è anche Latina, dove non si suona da dieci anni) e una netta sensazione di essere di fronte a un uomo desideroso di lasciar parlare esclusivamente le sue canzoni, per chi le sa apprezzare.


Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *

Questo sito usa Akismet per ridurre lo spam. Scopri come i tuoi dati vengono elaborati.