Lungi da noi scrivere una scontatissima, brutta e ingenerosa agiografia. E questa la mettiamo come premessa perché sia chiara a chiunque. Abbiamo letto tanto, sentito tanto, discusso, parlato, ascoltato. Non sappiamo neanche bene cosa scrivere, ma pensiamo che sia comunque giusto farlo; sono passati dei giorni, c’è stato il tempo per metabolizzare la notizia, per renderla “reale”, diciamo. Quando succedono queste cose si ha sempre l’impressione -sacrosanta- che la propria vita non cambierà: è vero. La nostra vita non è cambiata il 22 maggio 2018. Nessuno di noi ha vissuto la sensazione di aver subito una perdita palpabile, vera: non lo era. Noi abbiamo continuato a studiare, a mangiare, a bere il caffè, ad andare in palestra, a portare fuori il cane. Non eravamo tristi né depressi. Non abbiamo dovuto elaborare niente, né cancellare dalla nostra i memoria i bei momenti passati insieme: semplicemente, non ce ne erano.
Non è stato necessario andare in analisi, scavare dentro la propria anima alla ricerca di qualcosa che ci facesse accettare l’accaduto. Non abbiamo chiamato un’amica perché ci consolasse o perché ci comprendesse e si prendesse un po’ del nostro dolore: il 22 maggio 2018 non avremmo permesso a nessuno di rubarci il nostro dolore. Ne eravamo gelosi, lo siamo ancora. Era un dolore piacevole, in cui crogiolarsi, a volte un senso di vuoto, di paura; un po’ di sconforto. Egoisticamente, abbiamo pensato che avremmo avuto ancora tanto da imparare, se quel 22 maggio non fosse mai arrivato.
Che, da quel giorno, se uno svedese ci avesse fermato per strada, non avremmo avuto il coraggio di chiedergli come stesse sua figlia. Che, forse, ogni colpevole -o Coleman, mettetela come volete- dovrebbe avere il suo personalissimo scrittore, in grado di rimettere insieme i pezzi della sua vita; che non è detto che un libro che si apre con un funerale non possa raccontare un’intera vita. Che uno scaricatore di porto comunista e un’ex attrice del cinema muto non possano essere marito e moglie.
Il 10 gennaio 2016 moriva David Bowie; è stato l’unico precedente che ci è venuto in mente. L’unico momento in cui abbiamo provato quella sensazione di profondo dispiacere, di mancanza; di forte tristezza assolutamente ingiustificata, priva di basi reali. Non abbiamo sentito mancanza di uno Starman in the sky, eppure ci mancherà. Non abbiamo rimpianto il fatto di non aver potuto sentire la sua voce in altre canzoni, con altre sfumature, altre corde, eppure ne siamo quotidianamente addolorati. Non vediamo l’ora che arrivi qualcuno che riesca a farci sentire Heroes – just for one day, ma rimandiamo la ricerca per non tradire l’unico in grado di darsi -e darci- quel titolo.
Il 10 gennaio 2016 moriva David Bowie e noi abbiamo sofferto; in maniera dignitosa, silenziosa, timida; un dolore in superficie.
Il 22 maggio 2018 è morto Philip Roth e questo è tutto ciò che ci siamo sentiti in grado di scrivere; niente omaggi, niente parole pompose, niente articoli o complimenti. Non abbiamo parlato dei suoi romanzi, sarebbe stato riduttivo e fuori luogo: leggeteli. Non abbiamo voluto parlare dell’enorme perdita che il mondo ha subìto, né ricordare la vita di questo immenso scrittore. Abbiamo rivendicato solo questo: uno spazietto per il nostro timido, piccolo dolore.
La vita è solo un breve periodo di tempo in cui siamo vivi.
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