Erodiàs di Testori al Teatro I: sesso, santità e morte convivono nel monologo di Federica Fracassi

Dal 23 maggio all’11 giugno presso il Teatro I di Milano torna in scena Erodiàs di Testori – con Federica Fracassi e la regia di Enzo Martinelli – successo teatrale vincitore del premio Franco Enriquez 2017 e finalista al premio Ubu 2017 per la categoria miglior attrice.

Erodiàs è il secondo e il più tremendo dei Tre Lai – cioè lamenti sull’amato morto – scritti da Giovanni Testori pochi mesi prima di morire. Il primo è Cleopatràs, monologo della regina prima del suicidio, il terzo è Mater Stragosciàs, che è il lamento funebre della Madonna, dei tre l’unico su di un amore puro e disinteressato.

Se già Cleopatràs conteneva il tema dell’eros misto alla morte, individuato nel tentativo di seduzione di uno schiavo da parte della regina prima di compiere l’ultimo gesto, Erodiàs porta all’estremo questo concetto. Il monologo è infatti il delirio di Erodiade, concubina di Erode che, innamorata di Giovanni Battista ma da lui rifiutata, ottiene la testa decapitata di quest’ultimo. Su di essa, diventando essa e con essa (la testa del Battista) la regina dialoga e conversa, entrando nei cunicoli più torbidi dell’inconscio umano.

Il sipario si apre su una grande sagoma femminile in abito da sposa senza testa (costume realizzato da Cesare Moriggi), le cui mani sono arrotondate sotto il grembo ad abbracciare una testa di donna con la barba: quella testa che esce dal centro del vestito è viva, è Erodiade, diventata tutt’uno col Battista. Incastonata in quest’immagine pregnante, la protagonista, interpretata da Federica Fracassi, si introduce al pubblico modulando le espressioni del viso in irriverenti linguacce e smorfie con le quali ridicolizza la morte del santo.

Il monologo, per la varietà di trasformazioni della scena e del personaggio, pare un dialogo a più voci: l’attrice si dimostra impeccabile nella recitazione, interpretando magistralmente una figura scabrosa, contraddittoria, camaleontica e in evoluzione nel corso del dramma.  Nell’ora e venti di spettacolo, infatti, non ha il minimo cedimento ed è sempre in perfetta sincronia con gli effetti sonori (gestiti da Fabio Cinicola), rendendo viva la tragica Erodiade e trattenendo lo spettatore incollato alla scena.

La lingua del dramma è una parlata lombarda inventata da Testori, dove le parole, d’impianto regionale, sono riadattate in modo da rimare tra loro. Fracassi è bravissima nell’intonare alla perfezione questa lingua di patina lombarda creata appositamente per il dramma, nel testo originale riadattato da Francesca Garolla.

Erodiàs è il discorso finale di una donna che è impazzita per aver provocato la distruzione di ciò che più amava, non potendolo avere. Per ottenere la testa, la regina ha dovuto inoltre ammettere la sua perdita di fascino “vendendo” sua figlia Salomè ad Erode, disposto a concedere il “favore” solo alla fanciulla adolescente, diventata più appetibile per lui.

Nel ricordare questo, Erodiade rievoca anche gli ammonimenti del Battista, che la pregava di “salvare almeno la figlia”. Anche a causa di queste parole, forse, la protagonista si era vendicata di lui utilizzando Salomè, dopo essersi vista rifiutata più volte da colui che amava.

Racconta Erodiade di quando per la prima volta aveva visto il giovane predicatore: nudo, muscoloso, coperto da solo da uno straccetto: “un po’ de coerenza” è il commento genuino della regina, donna pagana che non comprende un dio degli stenti, della fame e che si è fatto uomo. Sacrilegamente Erodiade dileggia e disprezza il Cristo e la triste religione che porta con sé, che l’ha privata di godere del suo amato, questo dopo aver dichiarato che sarebbe stata disposta a lasciare tutto, palazzo e servitù, per partire con Battista, l’unico uomo che amava davvero.

Lo spettacolo è irriverente anche per la scenografia e gli oggetti di scena: Giovanni Battista è rappresentato infatti da un grosso dildo di gomma al quale la regina si rivolge e con cui conversa: così lui le era apparso in una logica non cristiana ma sensualmente pagana.

Federica Fracassi dimostra una forte presenza scenica riuscendo a restituire con pienezza la commistione di sesso, santità e morte, presenti nell’opera di Testori.

L’attrice, nel finale, passa davanti alla parete di plexiglas che divide la scena dal pubblico e si siede a pochi centimetri dagli spettatori, poiché la prima fila di poltrone del Teatri I è allo stesso livello del palco: questi istanti sono estremamente suggestivi, Fracassi, mentre pronuncia il discorso finale di Erodiàs, entra in contatto visivo diretto con le persone e il pathos raggiunge l’apice.

È un dramma che scatena forti emozioni e che merita certamente una visita al Teatro I.


FONTI

delteatro

CREDITI

Copertina © Laila Pozzo

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