Nymphomaniac è molto meno hard di quanto si pensi. Il sesso è presente ed analizzato nelle sue mille sfaccettature, ma viene filtrato dagli occhi di chi lo racconta e lo vive. La protagonista è Joe (Charlotte Gainsbourg): “ninfomane”,“un pessimo essere umano”. Così la donna è solita definirsi nei diversi capitoli che scandiscono i due lungometraggi di Lars von Trier.
Sulle dolci note di Bach e la forza dei Rammstein, Joe si racconta a Seligman (Stellan Skarsgård), un ebreo ateo che ha soccorso la donna ferita in un vicolo. Assorbito dalle sofferenti vicende della donna, il cinquantenne pensionato funge da moderatore della storia: giustifica ogni sua azione passata cercandone una razionale spiegazione e non risulta mai scandalizzato o sopraffatto dalla discutibile vita di Joe. I flashback consentono di rivivere a pieno la crescita di una bambina curiosa che si fa donna cacciatrice. Col susseguirsi degli anni vediamo quel sorriso curioso di una dodicenne trasformarsi in un viso stanco e sofferente.
Il regista danese non racconta la canonica sessualità cinematografica, ma la storia tragica di una dipendenza. Il desiderio di calore umano e la passione sono del tutto assenti poiché lasciano spazio ad un’apatia che, con lo scorrere dei minuti, risulta estremamente dolorosa. “Per me l’amore è soltanto lussuria unita alla gelosia”: la protagonista considera i sentimenti come una debolezza, un ostacolo verso la possibilità di perseguire nuove esperienze sessuali. Joe continua instancabilmente a seguire i suoi impulsi fino a sacrificare la sua stessa vita in nome del piacere. Alla costante ricerca di qualcosa di nuovo e di più intenso che possa soddisfare quell’enorme vuoto interiore accresciutosi con gli anni.
La carnalità non ha nulla a che fare con il lavoro di von Trier. Partendo dalla forza eccitante della donna il regista prosegue il suo viaggio in discesa sino alla tragicità della psiche femminile. Gravi crisi d’astinenza si alternano a ferite causate dall’abuso del proprio corpo. Scene di sesso esplicito e, spesso, estremo non risultano mai superflue ma necessarie al fine di esplicitare il dilemma di una donna che rifiuta l’intimità ed il sentimentalismo.
La capacità di von Trier di analizzare le emozioni ed il lato più nascosto dei suoi personaggi in modo a dir poco efficace è innegabile (ugual punto forte di Melancholia). Completamente incurante delle possibili conseguenze nell’affrontare argomenti tabù o nello scontrarsi con comuni codici etici per sostituirli ai propri. Un capolavoro? Non esattamente, ma raccontare un tema così forte rendendolo eccitante da un punto di vista prettamente intellettuale non è esattamente scontato. Nymphomaniac stanca, infastidisce e disgusta fino all’ultimo minuto. Proprio per questo si finisce con l’amarlo.